- Il 19 settembre a Piombino è iniziato l’iter di valutazione di un progetto di installazione all’interno del bacino portuale di un rigassificatore.
- Una proposizione è rimasta invariata dal governo Draghi a quello Meloni: «Il rigassificatore di Piombino si farà perché serve al paese».
- Pur non sottovalutando la rilevanza strategica, non bisognerebbe sottovalutare la differenza tra “va fatto” e “va fatto lì”.
Il 19 settembre a Piombino è iniziato l’iter di valutazione di un progetto di installazione all’interno del bacino portuale di un rigassificatore di gas naturale liquido (Gnl) e collegamento alla rete nazionale gasdotti.
Snam (società che gestisce la rete italiana dei gasdotti), il primo giugno aveva firmato un contratto di acquisto per 330 milioni di euro di una nave gasiera da trasformare in rigassificatore.
Golar Tundra, è lunga 330 metri con una capacità di stoccaggio di 170mila metri cubi di Gnl e una capacità nominale di rigassificazione di 5 miliardi di metri cubi/anno di Gnl portato da navi gasiere di simili dimensioni, una volta trasformata in rigassificatore galleggiante (Fsru).
A seguito di una complessa fase di valutazione del progetto predisposto da Snam e delle sue modifiche inerenti alle tante osservazioni da parte dei 25 enti coinvolti, il 25 ottobre c’è stata l’autorizzazione da parte del Commissario straordinario di governo, il Presidente della Regione Toscana.
Tutti gli enti avevano dato parere positivo vincolato a 129 prescrizioni da attuare prima, durante e dopo l’installazione. Solo il Comune di Piombino ha dato parere negativo per ragioni di sicurezza e rischio, supportate dalle perizie di una propria task force tecnico-scientifica.
Il Comune ha poi depositato il ricorso con richiesta di sospensiva al Tar del del Lazio che ha fissato la prima udienza per il 21 dicembre.
Perché realizzato a Piombino
Una proposizione è rimasta invariata dal governo Draghi a quello Meloni: «Il rigassificatore di Piombino si farà perché serve al paese».
Pur non sottovalutando la rilevanza strategica, non bisognerebbe sottovalutare la differenza tra “va fatto” e “va fatto lì”.
Anche l’impegno del commissario straordinario è stato sin dall’inizio improntato alla massimizzazione della possibilità di farlo lì, cioè a Piombino.
Avendo letto e discusso con altri tecnici incaricati dal Comune di Piombino migliaia di pagine del progetto Fsru, presentato da Snam, osservazioni, controdeduzioni e pareri finali ricchi di prescrizioni, il riduzionismo dell’enorme complessità del caso è l’aspetto che fa più male. Viene a mente la famosa frase di Albert Einstein: «Fate le cose nel modo più semplice possibile, ma senza semplificare».
Per chi, come il sottoscritto, si è cimentato nell’analisi e valutazione della poderosa documentazione, il razionale di partenza era se “l’impianto proposto è fattibile nel Porto di Piombino”.
Per essere liberi da pregiudizi, preconcetti e condizionamenti, si deve necessariamente prescindere dalle necessità “esterne” che, pure importantissime che siano, attengono ad altro piano.
Piombino non è un luogo qualsiasi
Se così non fosse l’estrema conseguenza sarebbe la considerazione di Piombino alla stregua di qualsiasi altra localizzazione (mentre è un sito da bonificare con sofferenze documentate) e di conseguenza l’indebolimento se non addirittura l’inutilità della componente tecnico-scientifica.
Un metodo in grado di aumentare la chance di fattibilità in area idonea è quello di valutare in parallelo più siti di localizzazione, largamente adottato in tanti altri paesi ma non nel caso di Piombino.
Oggi quindi ci si trova nel mezzo alla contraddizione tra il dover fare e il poter fare, un nodo che non si dovrebbe sciogliere con approccio riduzionista e tantomeno autoritario.
E qui non faccio riferimento alle ragioni del ricorso al Tar da parte del Comune di Piombino, ma a una analisi complessiva del significato e dell’impatto delle 129 prescrizioni contenute nei pareri di molti dei 35 soggetti partecipanti alle Conferenze dei Servizi istruttorie e decisoria e riprese nell’atto di autorizzazione. Come valutare il complesso delle prescrizioni?
Molte delle prescrizioni presentate appaiono come una sorta di autoprotezione da parte di chi le ha formulate, chiedono misure - anche strutturali - impegnative da realizzare in tempi stretti, e consegnano un quadro d’insieme molto complesso e incerto in termini di tempi, fattibilità e effetti sul breve e sul lungo termine.
Quanto rischio potrà essere mitigato attraverso le misure suggerite e quanto rischio residuo rimarrà attivo?
Questa conoscenza è indispensabile per i decisori per assumere consapevolmente le responsabilità delle scelte e per le comunità locali per accettare o meno i rischi che le riguardano direttamente, ma su questo piano molti passaggi sono stati assenti o sbrigativi.
Esigenze del Paese e diritti della comunità
Se l’urgenza dovuta ai bisogni del paese - di gas e energia – può sorreggere l’affermazione “serve e va fatto”, l’opzione del “va fatto in quel luogo” è un passo in più, proprio per il fatto che ad essere esposta a rischi è la comunità locale.
Questa ha il diritto di conoscere e di essere protetta, in sintonia con il primo passaggio dell’articolo 32 della Costituzione «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti».
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