- Gli applausi dei cittadini di Palermo all’arresto del boss sono confortanti.
- Lo abbiamo sempre detto che parte dalla rassegnazione a fronte della criminalità organizzata di intimidire e ricattare, di punire, ma anche di premiare laddove lo Stato non mostri altrettanta forza e non crei opportunità.
- Su questo versante, la lotta contro la mafia continua e giustamente deve rivolgersi contro quelle frange di professionisti, avvocati, commercialisti, imprenditori e altre figure che hanno consentito ai mafiosi di infiltrarsi nel mondo degli affari e di moltiplicare i loro profitti.
La cattura di Matteo Messina Denaro deve senza alcun dubbio essere considerata una importante vittoria dello Stato. Meglio, due sono gli apparati che, più precisamente, hanno vinto: qualche specifico settore della magistratura e i carabinieri del Ros.
A coloro che si chiedono, alcuni perché vogliono effettivamente e legittimamente saperne di più, altri perché credono di saperne di più e adombrano trattative oscure e segreti inconfessabili, che cosa sta dietro, bisogna dare due risposte.
La prima è che “dietro” stanno anni di indagini e di ricerche mai smesse, di raccolta e di selezione di informazioni leggibili e interpretabili attraverso la memoria storica che soltanto le istituzioni e i loro rappresentanti possono avere e sanno come utilizzare.
Questa è la parte migliore dello Stato che, chi vuole, potrebbe anche chiamare lo Stato profondo, deep.
La seconda risposta è che quelle informazioni, quelle conoscenze, quelle azioni che hanno portato al successo non possono e non debbono essere rivelate nella loro interezza. Gli informatori, le fonti hanno diritto (proprio così) all’anonimato.
Ne va della loro incolumità, ma anche della possibilità di usufruire di loro apporti futuri nonché degli apporti che altri vorranno offrire contando sul silenzio degli apparati.
Con Messina Denaro in carcere, è opinione diffusa, non è finita la mafia in quanto tale, ma è finita una lunga epoca di mafia basata sulla violenza anche estrema e repellente.
Messina Denaro era l’ultimo di questi esponenti e, a quanto se ne sa, non lascia eredi.
Non è stato “lasciato solo”, come si dice, ma era inevitabilmente rimasto solo, e a giudicare dalla sua resa senza opporre alcuna resistenza, ne aveva preso atto.
Gli applausi dei cittadini di Palermo all’arresto del boss, uscendo dalla retorica non parlerei di “boss dei boss” e di “re”, sono confortanti.
Lo abbiamo sempre detto che parte, forse grande, del successo della mafia, dipende da quello che definirei non il consenso, ma l’accettazione, il senso di inevitabilità e di rassegnazione a fronte della criminalità organizzata di intimidire e ricattare, di punire, ma anche di premiare laddove lo Stato non mostri altrettanta forza e non crei opportunità.
Su questo versante, la lotta contro la mafia continua e giustamente deve rivolgersi contro quelle frange di professionisti, avvocati, commercialisti, imprenditori e altre figure che hanno storicamente consentito ai mafiosi di infiltrarsi nel mondo degli affari e di moltiplicare i loro profitti.
Al mondo della politica e ai governanti tocca il compito, prima di attuare qualsiasi intervento legislativo in materia (ma davvero i mafiosi non usano il telefonino?) di chiedere a coloro che hanno condotto l’operazione contro Messina Denaro quali sono gli strumenti irrinunciabili.
Senza polemiche, un auspicio, forse un imperativo.
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