- Dietro gli inccentivi all’edilizia c’è un keynesismo perverso: non importa quanti soldi pubblici spendi, perché alla fine lo Stato ci guadagnerà, visto che i soldi spesi (a debito) diventeranno commesse per imprese che pagheranno lavoratori i quali a loro volta pagheranno tasse che ripagheranno il debito. Facile, no?
- Detassare le imprese (per la destra) o i lavoratori dipendenti gravati dal cuneo fiscale (per la sinistra) non spingerebbe il Pil molto di più?
- Bisognerebbe farsi questo genere di domande invece che torturare le statistiche finché non giustificano l’ingiustificabile.
Un giorno guarderemo al Superbonus come alle babypensioni o ai 30.000 dipendenti dell’ente minerario di Stato prima delle privatizzazioni, cioè politiche economiche irresponsabili che hanno bruciato decine di miliardi di euro per costruire consenso e in nome di un’idea da asilo della politica economica.
Il Movimento Cinque stelle di Giuseppe Conte e un po’ dei suoi opinionisti di riferimento continuano a rivendicare l’utilità del Superbonus e in generale delle misure di sostegno all’edilizia sulla base di una logica economicamente assurda, che peraltro è alla base di tante misure che loro hanno (giustamente) contestato, tipo le infrastrutture fatte tanto per far girare l’economia tipo l’alta velocità Torino-Lione.
L’argomento è lo stesso, chiamiamolo keynesismo perverso: non importa quanti soldi pubblici spendi, perché alla fine lo Stato ci guadagnerà, visto che i soldi spesi (a debito) diventeranno commesse per imprese che pagheranno lavoratori i quali a loro volta pagheranno tasse che ripagheranno il debito. Facile, no?
Se l’economia funzionasse così, sarebbe veramente criminale lasciare declinare l’Italia. Invece che 110 miliardi per il Superbonus potremmo spenderne 200, 1.000 o magari 2.000, tanto alla fine lo Stato ci guadagna…
Ovviamente non funziona così. E per sostenere il loro keynesismo perverso i Cinque stelle devono usare parole e lessico esoterico. Tipo la capogruppo al Senato Mariolina Castellone, che essendo persona seria è sicuramente in buona fede, ma che confonde solo le idee quando dice a La Notizia che «i 60,5 miliardi attivati dal Superbonus a fine ottobre 2022 hanno prodotto effetti sull’economia per 195 miliardi tra settore delle costruzioni, settori collegati e aumento dei consumi».
Attivato? Effetti? Difficile dire che cosa significhino queste parole, ho una laurea in economia e un master ma giuro di non saperlo.
Quello che so è che perfino uno degli studi citati dai fan del Superbonus, realizzato dal Cresme e commissionato dall’Ance, cioè dai costruttori interessati al Superbonus, dice che gli incentivi all’edilizia non si ripagano.
Lo studio Cresme del 2021 deve fare i salti mortali per trovare un modo per rendere positivo il saldo di Superbonus e dintorni. La stima a valori correnti degli incentivi fiscali all’edilizia sull’arco temporale 1998-2031 è negativa per 48,8 miliardi di euro, scrive il centro studi nel 2021.
Per arrivare ad avere un saldo positivo bisogna veramente esercitarsi di fantasia: si considera il gettito futuro per lo Stato da consumi e rendite catastali (che in Italia nessuno però vuole toccare), gli stipendi dei dipendenti dell’edilizia, poi si sottrae il minore gettito dalle bollette energetiche, l’investimento effettuato dalle famiglie e molto altro.
Alla fine, dopo tutto questo maquillage contabile, si arriva a un impatto positivo di 36 miliardi.
Una bella differenza, di quasi 85 miliardi tra l’impatto concreto (-48 miliardi) e quello complessivo, teorico (+36 miliardi) dovuti all’introduzione nel modello di una miriade di effetti collaterali stimabili su ipotesi molto aleatorie e discutibili.
Analisi di questo tipo possono portare a qualunque risultato, sono come quelle che fanno risultare sempre conveniente organizzare le olimpiadi o realizzare una certa infrastruttura: basta ipotizzare che ci siano effetti a catena incredibilmente positivi e tutto torna.
Quando i Cinque stelle si opponevano alla Torino-Lione, contestavano proprio questo eccesso di ottimismo su traffico merci e passeggeri futuri che serviva a giustificare investimenti ingiustificabili.
Anche a prendere per buoni i numeri fantasiosi dei sostenitori del Superbonus, manca sempre un elemento imprescindibile per giustificare la necessità della misura: il costo opportunità.
I soldi, cioè, si possono usare per l’edilizia o per cambiare l’auto, per far studiare i figli o per regalare loro un appartamento e così via.
Come ha ricordato la Banca d’Italia, tra 2016 e 2022 i costi dei bonus edilizi sono lievitati da 54 a 81 miliardi, la deduzione per la rendita catastale vale 3,4 miliardi di euro l’anno, la cedolare secca sugli affitti (che è uno sconto per disincentivare il nero) altri 2,7 miliardi.
Se i Cinque stelle avessero spostato quei soldi sul reddito di cittadinanza, magari esteso alle famiglie composte da immigrati, forse avrebbero potuto davvero rivendicare di aver “abolito la povertà”, invece hanno preferito ricoprire qualche migliaio di case di cappotti termici dal dubbio beneficio ambientale.
Per citare ancora Bankitalia, alle case va il triplo delle sconti fiscali destinati alle imprese. I difensori del Superbonus e del suo impatto del Pil hanno l’onere della prova: davvero questa combinazione è quella che più favorisce la crescita?
Detassare le imprese (per la destra) o i lavoratori dipendenti gravati dal cuneo fiscale (per la sinistra) non spingerebbe il Pil molto di più?
Bisognerebbe farsi questo genere di domande invece che torturare le statistiche finché non giustificano l’ingiustificabile.
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