Quando ho visto Ilaria in catene non ci credevo: anche gli stati più violenti tengono nascosti i maltrattamenti. Il modo in cui è stata umiliata suggerisce che è un caso politico. Non ci sono foto di imputati estremisti in ceppi
Mi ha molto sorpreso, guardando quello che è successo a Ilaria Salis durante il processo del 29 gennaio davanti a un tribunale ungherese, vedere scene che mai avrei immaginato potessero ripetersi ancora oggi nel nostro mondo. Non è stato un processo del tipo di quelli a cui siamo abituati, soprattutto nei paesi europei, dove ho sempre pensato esistessero degli standard in base ai quali una persona viene trattata, anche quando si tratta di un imputato accusato di un crimine.
Questa scena mi ha riportato indietro negli anni, a quando ero in prigione, e mi sono ritrovato a paragonare quello che ho vissuto nel processo davanti ai tribunali egiziani, le cui condizioni chiediamo sempre di migliorare per i problemi che si ripetono per varie ragioni. Tra questi motivi ci sono il lungo periodo di custodia cautelare, che arriva a due anni, e in molti casi le pessime condizioni carcerarie. Tuttavia, durante il periodo del processo, non mi è mai capitato di vedere un accusato ammanettato mani e piedi durante l’udienza.
Penso a imputati i cui crimini rientravano nell’esecuzione di operazioni legate a un attentato terroristico. Eppure le autorità hanno evitato di ammanettarli in questo modo umiliante, che manca di coerenza rispetto agli standard di un giusto processo e nel rispetto del diritto dell’accusato a essere trattato in modo da preservare i suoi diritti umani in conformità con standard europei e internazionali.
Questa scena ci fa riflettere anche sullo svolgimento del processo e sulla misura dell’integrità delle autorità inquirenti. Come può un giudice che ha studiato la legge e conosce a memoria le norme da seguire nei confronti degli imputati, anche se è certo del crimine, accettare tali maltrattamenti nel proprio tribunale?
Tuttavia, è uno dei doveri del tribunale garantire la sicurezza all’imputato, soprattutto se non è stata emessa una sentenza o un verdetto definitivo nei suoi confronti.
Questa scena ci fa chiedere se i giudici siano politicizzati, viste le immagini che hanno fatto arrabbiare il popolo italiano in particolare e coloro che si interessano alla cosa pubblica in generale.
Le immagini
Possiamo citare e documentare un certo numero di violazioni di cui gli imputati possono essere vittime prima dell’udienza, durante il loro sequestro, come sparizioni e interrogatori in edifici di sicurezza in diversi paesi. Ma nemmeno i governi più violenti e dittatoriali sono stati in grado di produrre una scena di questa bruttezza davanti ai media internazionali.
Tanti imputati sono esposti a forme orribili di abusi e violazioni nei loro luoghi di detenzione, ma tutto cambia quando l’imputato compare davanti alle autorità investigative e giudiziarie.
All’inizio non credevo alla scena di Ilaria con le mani e i piedi incatenati. Ho cercato su diversi giornali e organi di informazione italiani e internazionali, perché onestamente non credevo ai miei occhi. Dopo la comparsa dell’intelligenza artificiale, la prima cosa che mi è venuta in mente è stata che si trattava di un’immagine artefatta: non immaginavo che il governo ungherese, pur con tutte le sue note idee conservatrici, le restrizioni sulla libertà e le orribili norme per i rifugiati, manifestasse in modo così chiaro il suo indirizzo politico.
Quando ho avuto la conferma che le foto erano vere e ho iniziato a fare ricerche più approfondite sul caso, ho avuto vari pensieri. Il primo era se questo metodo fosse seguito con tutti gli imputati in Ungheria, se sia seguito solo nei casi di crimini violenti, oppure se si è trattato di una procedura irregolare.
Mi sono ritrovato a leggere di un caso accaduto in Ungheria nel 2008, in seguito al quale 4 ungheresi appartenenti a gruppi neonazisti furono accusati di aver commesso diversi omicidi. Hanno compiuto attacchi terroristici contro la minoranza rom in Ungheria, uccidendo e ferendo numerose persone. La violenza è continuata per un anno intero prima che le autorità inquirenti prendessero sul serio la questione e li arrestassero. Ma non era questa la mia preoccupazione: volevo vedere delle foto del loro processo, e non ho trovato nessuna immagine che indicasse che avessero incatenato i piedi durante il processo o comunque davanti ai giudici.
La differenza di trattamento durante il processo di Ilaria è stata evidente nel paragone con il modo in cui le autorità ungheresi hanno trattato gli imputati del gruppo neonazista durante il processo al tempo. Quello che è successo a Ilaria suscita il dubbio che i capi del tribunali non stiano trattando il suo caso come tutti gli altri.
Stanno mandando all’opposizione politica un messaggio: l’umiliazione è il destino di chi osa opporsi ai neonazisti. Sembra che il processo abbia un significato più ampio rispetto alla persona di Ilaria. Il processo coinvolge anche altri aspetti e il verdetto sarà politicizzato e varrà non solo per Ilaria, ma minaccerà chiunque prova a opporsi a questa direzione politica.
Condizioni disumane
Non c’è dubbio che gli atti di violenza di cui è accusata Ilaria siano inaccettabili, ma lei ha anche il diritto a un processo equo e rispettoso dei diritti umani. Ho letto vari report che mostrano le condizioni difficili in cui è stata detenuta, in regime di isolamento in una cella infestata da ratti e insetti. Le autorità carcerarie ungheresi negano, ma le testimonianze indicano l’opposto, ed è molto probabile che Ilaria sia stata sottoposta a un trattamento ingiusto in prigione.
Qui entra in gioco il ruolo del governo italiano e l’importanza di esercitare il suo diritto di seguire il processo contro Ilaria e di comunicare con tutti i mezzi diplomatici per garantire i suoi diritti come cittadina italiana. Non può essere trattata in questo modo in nessuna circostanza. Il governo italiano deve agire rapidamente seguendo le direttive dell’Ue: il governo italiano può chiedere che Ilaria rimanga agli arresti domiciliari in attesa di processo; se il giudice ungherese acconsente al suo trasferimento agli arresti domiciliari, l’Italia può chiedere che venga trasferita in Italia e, in terzo luogo, può chiedere che il governo ungherese accetti queste richieste per garantire che vi sia un livello minimo di protezione per Ilaria.
Infine, in quanto persona che è stata incarcerata e che, in due anni di reclusione, ha interagito con prigionieri politici e altri che hanno commesso crimini, anche violenti, mi trovo di fronte a una domanda urgente e cruciale sull’obiettivo e lo scopo della reclusione. Ciò che vediamo nel processo a Ilaria ci fa riflettere sul senso della pena detentiva.
L’obiettivo principale della detenzione, della pena detentiva e della restrizione della libertà, è torturare gli accusati e instillare sentimenti di odio per la società, oppure il vero obiettivo dell’istituto penale è far uscire una persona da quell’esperienza cosciente che ciò che ha fatto è stato pericoloso per la società, per sé stessa e gli altri?
Anche in Europa, non solo in Medio Oriente, la giustizia necessita di più lavoro per analizzare l’efficacia dei metodi di punizione. I metodi che usiamo ora non producono persone redente che vogliono iniziare una nuova vita senza l’intenzione di causare ulteriori danni.
Nella mia esperienza, questi metodi di trattare gli imputati non faranno altro che portare a più violenza e criminalità. Quelle scene non danneggiano solo gli accusati, ma anche tutti coloro che vedono quelle immagini. Ci sono molti esempi di terroristi che escono da simili esperienze carcerarie più violenti e risentiti di prima nei confronti della vita. © Patrick Zaki 2024
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