- Come Movimenta, assieme al Forum Disuguaglianze Diversità e al Forum PA e col sostegno di oltre 70 personalità, abbiamo avanzato una proposta per rigenerare la pubblica amministrazione.
- Proponiamo di rinunciare a scorciatoie facili e inefficaci e di sfruttare un turn over di decine di migliaia di posti per reclutare giovani con competenze diverse, anche organizzative e gestionali.
- Vogliamo dare loro responsabilità dal primo giorno e non permettendo che finiscano, una volta dentro, a emulare chi c’è già, pensando che sia quello l’unico modo di fare.
Su Il Foglio del 24 dicembre il direttore Claudio Cerasa si premura di metterci in guardia contro il “metodo Barca”, perché è bello a parole ma non nella pratica per far funzionare lo Stato, come ha dimostrato la sorte toccata alla stessa Agenzia per la Coesione Territoriale. Barca non ha bisogno di altri per difendersi.
Gli basterebbe ricordare quando – con lui Capo Dipartimento al ministero dell’Economia – 4 miliardi furono messi a gara per le amministrazioni che si rinnovavano più rapidamente.
La cosa finì col premiare alcune regioni e penalizzarne altre (pur politicamente vicine all’allora capo del governo Berlusconi), a dimostrazione che un alto dirigente dello Stato poteva ripartire miliardi sulla base di indicatori oggettivi.
Fu certamente sua l’idea di un’agenzia esecutiva per la coesione, concepita come strumento di identificazione delle deficienze e di accompagnamento (non sostituzione) delle strutture amministrative. Mentre fu chi governò dopo – quando Barca, dopo essere stato ministro era tornato a fare il dirigente al ministero– a decidere di farne altro.
Ma veniamo ad oggi. Come Movimenta, assieme al Forum Disuguaglianze Diversità coordinato dallo stesso Barca e al Forum PA e col sostegno di oltre 70 personalità, abbiamo avanzato una proposta per rigenerare la pubblica amministrazione.
Proponiamo di rinunciare a scorciatoie facili e inefficaci e di sfruttare un turn over di decine di migliaia di posti per reclutare giovani con competenze diverse, anche organizzative e gestionali, dando loro responsabilità dal primo giorno e non permettendo che finiscano, una volta dentro, a emulare chi c’è già, pensando che sia quello l’unico modo di fare.
Proponiamo di lavorare per missioni strategiche che uniscano attorno a stessi obiettivi ministeri, regioni e comuni; di formare tutti i funzionari pubblici non come se fosse un adempimento burocratico; di rendere le pubbliche amministrazioni capaci di costruire buone politiche pubbliche assieme alle organizzazioni della società civile.
Se è questo il metodo Barca, suggeriamo cautela nel dire che non funziona. L’alternativa sono le task foce che girano a vuoto, oppure peggio perché si finisce anche senza volerlo a sostenere uno Stato che va all’asta, svenduto a società di consulenza o a consorterie di giuristi, esperti di ricorsi di ogni tipo, o ad assistenze tecniche, che dispongono solo del finto vantaggio per l’amministrazione di mettere a disposizione personale a tempo determinato.
Tutte queste cose non ce le hanno raccontate. Per anni le abbiamo vissute in diretta, lavorando in posizioni di rilievo dentro più ministeri o ai vertici di organizzazioni che con quei ministeri avevano ogni giorno a che fare.
Sono anche questi limiti ciò che ci ha spinto ad impegnarci in politica, perché è la politica ad essere responsabile del malfunzionamento dello Stato, mentre solo uno Stato che funziona può farci vincere le sfide epocali che abbiamo davanti: dalla transizione ecologica alla piena parità di genere, dalla costruzione di nuovi lavori di qualità ad un’istruzione che assicuri ai giovani di cavarsela domani.
Con Barca ci è parso naturale, e forse inevitabile, intervenire sulla governance del Recovery Plan.
Con un editoriale pubblicato l’8 dicembre su Domani abbiamo chiesto di non esautorare le pubbliche amministrazioni creando sovrastrutture esecutive in seno alla presidenza del Consiglio, di non continuare col depauperamento degli uffici pubblici e la moltiplicazione delle società di consulenza e delle assistenze tecniche, e di definire – prima di ogni altra cosa – i risultati attesi: cosa vogliamo ottenere con oltre 200 miliardi in arrivo dall’Europa. Non come farne la rendicontazione, ma come fare in modo che abbiano impatto sulla vita delle persone.
È una buona notizia che Fabrizio Barca abbia scelto di non dedicarsi solo alla pensione e ai nipotini. E che continui ogni giorno a “dare fastidio”, chiedendo di rispondere nel merito alle sue proposte e aiutando noi in parlamento, e tanti altri fuori, a tenere unite storie politiche, esperienze sociali ed organizzazioni diverse con cui ribadire, tutti insieme, che non siamo disposti in alcun modo – alla vigilia di un 2021 così incerto – ad assistere al più colossale spreco di opportunità che il Paese abbia mai avuto in tutta la sua storia repubblicana.
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