Evocando un supposto tradimento dell’interesse nazionale, molti esponenti della maggioranza di governo hanno alzato alti lai contro Elly Schlein, il Pd, la sinistra per non aver appoggiato con entusiasmo la candidatura di Raffaele Fitto (Fratelli d’Italia) a una vicepresidenza esecutiva dell’Unione europea.

In realtà non l’hanno nemmeno bocciato, a differenza dei colleghi socialisti, liberali e verdi europei, limitandosi ad annunciare di voler valutare contesto, deleghe e programma.

Il no di Meloni

Tanto è bastato, tuttavia, per censurare, eufemismo, l’atteggiamento attendista e parlare di schizofrenia dell’opposizione che nientemeno remerebbe contro l’Italia per fedeltà ideologica ai suoi partner continentali. Il tutto sposando una posizione pregiudicata a priori e che appalesa una scarsa memoria. La stessa accusa, e per motivi più cruciali, si sarebbe potuta rivolgere a Giorgia Meloni quando ha deciso di votare contro la presidente della Commissione Ursula von der Leyen uniformandosi alla volontà dei colleghi sovranisti e così collocando all’opposizione il nostro Paese. Scelta ovviamente legittima ma foriera come si vede di sviluppi sospettosi nei nostri confronti.

Il difetto originale sta nel dualismo tra governo nazionale e governo europeo. A Roma c’è una maggioranza che a Bruxelles si scinde in tre rivoli, con una gamba del tavolo, Forza Italia, che sta con von der Leyen e le altre due, Fratelli d’Italia e Lega, contro. È questa la vera schizofrenia, il corto circuito che, per ora, condanna al limbo Raffaele Fitto i cui meriti sono peraltro (quasi) universalmente riconosciuti. Ma il problema non è la persona.

La destra punta il dito contro Francia e Germania, l’asse su cui si regge l’Unione, accusando Macron e Scholz di bloccare la nomina a una poltrona prestigiosa che dovrebbe spettare di diritto a un Paese fondatore. Lo farebbero per motivi interni: non vogliono legittimare un governo, il nostro, troppo vicino alle posizioni delle loro estreme destre. Ed è esattamente quanto accade anche con la Spagna di Pedro Sànchez, addirittura più agguerrita nello sbarrare il passo a Fitto.

Il quadro, molto complesso, segnala la solita difficoltà di superare un conflitto di interessi tra Stati e Unione, con i primi che finiscono invariabilmente per prevaler sui secondi o almeno per limitarli notevolmente. Non si è ancora fino in fondo accettata l’esistenza di un’Unione europea per cui si vota, ha un Parlamento dove si forma una maggioranza che esprime una Commissione a cui sono delegati compiti simili a quelli di un governo. E piaccia o meno ai sovranisti, compresi quelli italiani che l’Europa la vorrebbero distruggere usando come cavallo di Troia le elezioni, dalle urne di giugno è uscita una maggioranza di centro-sinistra.

Il verdetto delle urne Ue

La volontà dei cittadini del continente andrebbe rispettata visto che facciamo parte di un progetto sovranazionale, peraltro fondamentale in questa fase storica in cui le sfide che ci attendono obbligano all’unità, se non per scelta almeno per necessità, visto che nessun Paese sarebbe in grado di affrontarle da solo. Due guerre aperte alle porte e che rischiano di allargarsi, l’insieme delle democrature che minacciano il nostro stile di vita, il gigantismo economico di colossi che dovrebbe ricordarci come fu proprio il mercato comune a favorire l’epoca più florida della nostra economia.

Piaccia o meno, è l’Europa il nostro spazio di manovra. Come insegna un principio basilare della democrazia chi vince governa. Lo dovrebbero sapere bene Giorgia Meloni e soci, che, una volta conquistato palazzo Chigi, non hanno fatto prigionieri usando in modo spregiudicato lo spoils system senza nessuna concessione al merit system. Giorgia Meloni in Europa ha sempre dimostrato una fedeltà ideologica ai partner che condividono i suoi stessi valori, la stessa fedeltà che ora invece viene imputata alla sinistra.

Dimenticando la coerenza, bene ha comunque fatto a trattare con l’ondivaga von der Leyen un ruolo di peso. Ma non bisogna stupirsi se l’inciucio all’italiana ha provocato le reazioni che ci sono state. Se crediamo che Bruxelles valga almeno quanto Roma (e dovremmo entrare in questo ordine di idee), sarebbe come se lei avesse scelto un ministro del Pd per il suo esecutivo. Ciascuno può immaginare a piacere la reazione dei suoi, di Matteo Salvini e persino di Antonio Tajani.

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