Sin dalla campagna elettorale del 2010 Zaia ha costruito gran parte delle sue fortune ergendosi a interprete del senso comune dei cittadini veneti
- A settembre Zaia ha vinto con il 76 per cento non grazie alla pandemia ma perché è stato un leader molto presente, abile comunicatore, dinamico e moderno ma attento a muoversi entro i solchi tracciati dalla tradizione.
- In questo contesto, riscoprire i valori di fondo della sinistra sarebbe un’operazione rivolta ad una porzione minoritaria della società locale.
- È necessario che il centrosinistra si metta in ascolto del Veneto più profondo, offrendo un’idea di cosa questa Regione può diventare in un futuro prossimo su sanità, ripresa economica, lavoro, ambiente e inclusione sociale.
Quella di settembre sembrata l’elezione di un Doge più che di un presidente della Regione. Ma il centrosinistra del Veneto se n’è accorto?
Alle ultime elezioni in Veneto il presidente uscente Luca Zaia ha ottenuto la riconferma con 1.883.960 voti, pari allo strabiliante 76,79 per cento dei suffragi, sbaragliando tutti gli avversari. Anche fra le singole liste, è risultata di gran lunga più votata la Lista Zaia Presidente con 916.087 voti (44,57 per cento), seguita dalla Lega Salvini con 347.832 voti (16,92 per cento). Solo dopo troviamo la principale forza d’opposizione, il Partito Democratico con 244.881 (11,92 per cento).
Il tipo di opposizione che si intende perseguire risulta condizionato dall’interpretazione di questi risultati. Chi ritiene che il plebiscito per Zaia sia soprattutto frutto della pandemia, che ha conferito visibilità ad alcuni ruoli di leadership, dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte ai presidenti di Regione uscenti, è indotto a pensare che quell’enorme consenso sia destinato a ridimensionarsi una volta superata l’emergenza e la concomitante tendenza diffusa a “stringersi attorno alla bandiera”.
In realtà, l’esposizione mediatica può irrobustire la leadership, ma non la costruisce dal nulla e, da questa prospettiva, il caso del Veneto risulta di particolare rilievo: agli osservatori era noto che Zaia partisse da una situazione di forte vantaggio già prima della diffusione del Covid.
La copertura mediatica che il presidente della Regione Veneto è riuscito ad assicurarsi nelle settimane drammatiche della prima ondata ha confermato nella maggioranza dei cittadini veneti l’immagine che Zaia stesso ha contribuito a costruire nel corso dei suoi due mandati precedenti: un leader molto presente, abile comunicatore, dinamico e moderno ma attento a muoversi entro i solchi tracciati dalla tradizione.
Le origini del successo
Uno studio di Giulia Princivalli pubblicato da DANE – Osservatorio Democrazia a NordEst ricostruisce con quanta attenzione Luca Zaia e il suo staff abbiano sempre agito in coerenza con questo tipo di proposta politica e quanto tale proposta risulti in sintonia con la cultura politica diffusa nel contesto veneto.
In altri termini, i processi di personalizzazione della politica (di cui Luca Zaia può essere considerato senza dubbio un esempio di successo) non cancellano i tratti di fondo delle culture politiche sedimentate nel corso del tempo.
Anzi, le leadership personalizzate riescono ad avere grande successo – e a renderlo stabile – proprio se riescono a entrare in sintonia con le caratteristiche peculiari delle culture politiche prevalenti nei contesti locali di riferimento.
Esiste in Veneto un tratto culturale antico, che precede la nascita della stessa Democrazia Cristiana, e che si esprime nel “localismo antistatalista”: il riferimento immediato è la società locale prima dello Stato.
Sin dalla campagna elettorale del 2010 Zaia ha costruito gran parte delle sue fortune ergendosi a interprete del senso comune dei cittadini veneti: l’efficacia della sua leadership si innesta su una questione molto sentita nell’Italia nordorientale, l’autonomia.
Infatti, oltre all’affermazione personale di Zaia, la sua lista riesce quasi a triplicare i consensi ottenuti dalla Lega Salvini.
Alla vigilia del voto, gran parte dell’attenzione si concentrava proprio sul confronto – tutto interno allo schieramento di centrodestra – fra la lista del Presidente uscente e la Lega. Tale confronto riguardava quale offerta politica fosse destinata a prevalere: quella di una Lega ormai partito “nazionale” e “sovranista”, cara a Salvini, oppure quella “localista” incarnata da Zaia. Il risultato elettorale mostra che, almeno per il momento, in Veneto le preferenze si indirizzano con decisione verso il secondo modello.
A questo punto l’interrogativo diviene quanta parte del successo di Zaia derivi dagli errori compiuti nel corso del tempo dai suoi avversari.
Le occasioni perse del centrosinistra
In un libro in uscita in questi giorni per le edizioni Il Poligrafo (Identità e rappresentanza politica nel Veneto della Repubblica 1948-2020), uno degli esponenti più lucidi del centrosinistra veneto, l’ex sindaco di Padova Paolo Giaretta, ricorda come, ad esempio, nel 1995, in una situazione di spaccatura fra la Lega e il centrodestra, il centrosinistra veneto abbia sprecato l’occasione di presentare una candidatura del prestigio e della notorietà di Tina Anselmi.
Giaretta descrive bene la tendenza ricorrente nel tempo di un centrosinistra non solo minoritario, ma spesso diviso al proprio interno e litigioso, pertanto incapace di cogliere le (poche) occasioni che si presentano.
A questo proposito, ci si chiede se di fronte alla peggiore sconfitta di sempre (16,4 per cento dei suffragi) il centrosinistra veneto sia in grado di invertire la tendenza e reinventarsi.
I primi confronti pubblici successivi al voto hanno visto questo schieramento dividersi seguendo i richiami di appartenenze ormai remote, che rimandano ai due soggetti fondatori del Partito Democratico: la Margherita e i Democratici di Sinistra.
Benché l’attuale assetto del centrosinistra sollevi parecchie perplessità, si può dubitare che la rinascita di una opposizione efficace in Veneto passi prioritariamente dalla ricostruzione di precedenti identità collettive, e ciò non perché esse non siano importanti.
La politica risulta incomprensibile senza precisi riferimenti a identità collettive e a sistemi di significato che collegano le persone. Tuttavia, queste identità non possono prescindere dalla connessione con simboli e valori sedimentati nelle culture politiche locali.
Il Veneto non è la Toscana o l’Emilia Romagna: nel periodo repubblicano l’offerta politica dei partiti di sinistra è sempre stata sottorappresentata in Veneto rispetto alla media nazionale. Pertanto, in questo contesto, riscoprire i valori di fondo della sinistra, è senz’altro un’operazione meritoria e utile, ma rivolta ad una porzione minoritaria della società locale.
Non è (solo) da qui che può nascere un’alternativa competitiva ad un centrodestra che, al termine di questa legislatura, dovrà affrontare la delicata questione di come gestire la successione di Luca Zaia.
È necessario che il centrosinistra si metta in ascolto del Veneto più profondo interpretandone le esigenze e offrendo un’idea di cosa questa Regione può diventare in un futuro prossimo, nel quale le questioni legate alla sanità, alla ripresa economica, al lavoro, all’ambiente e all’inclusione sociale si confermeranno cruciali. Operazione non certo facile, ma indispensabile se ci si propone di rappresentare gli interessi diffusi della popolazione veneta ed essere parte trainante di un polo alternativo al centrodestra.
Magari proprio a partire da quelle esperienze di governo locale che hanno consentito a un centrosinistra allargato ma coerente di vincere la sfida.
Sempre all’inseguimento
È stato spesso notato come il centrosinistra in Veneto sia capace di buone affermazioni a livello comunale, in collaborazione con diverse formazioni civiche, ma poi manchi di una struttura condivisa sul piano regionale, per cui, a quel livello, è costretto regolarmente ad inseguire il centrodestra, in maniera poco efficace.
Proprio Paolo Giaretta una dozzina di anni fa, quale primo Segretario regionale del Partito Democratico, diede vita a una scuola di formazione politica cui partecipavano molti giovani da tutte le province del Veneto: era un’occasione per mettere in circolo idee e volti nuovi, connettendosi con i fermenti innovativi presenti nella regione.
In seguito, tale esperienza è stata fatta languire sino alla consunzione, ad ulteriore conferma che le strade del trionfo altrui sono costellate da tante opportunità gettate al vento.
È disposto il centrosinistra veneto a rimettere tutto in discussione e avviare un processo ri-costituente aperto alla società oppure lascerà “il Doge” a gestire indisturbato anche le pratiche relative alla sua successione?
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