- Occorre evitare che il peso dell’inflazione ricada sulle fasce più deboli, con il rischio di generare una crisi sociale.
- Per questo ci sono almeno tre interventi da attuare subito, e che non hanno praticamente controindicazioni. Ma richiedono una chiara visione politica.
- Innanzitutto vanno aumentati i salari, riprendendo e aggiornando il metodo Ciampi del 1993 (che non genera spirali inflattive). Inoltre, e sulla scia di quanto fatto in Spagna da Sanchez, bisogna bloccare la crescita degli affitti e incrementare la spesa sociale proporzionalmente al caro vita.
A causa della guerra in Ucraina, l’inflazione emerge come un iceberg che può far naufragare il già fragile vascello della ripresa. Inoltre, poiché colpisce soprattutto le fasce più deboli acuisce le disuguaglianze e rischia di innescare una crisi sociale. Che cosa si può fare?
Oltre agli interventi contro il caro energia, utili ma costosi (e insufficienti), ci sono tre priorità. Innanzitutto occorre riattivare la concertazione, per aumentare i salari ed evitare quindi che a rimetterci siano soprattutto i lavoratori dipendenti.
Certo, in teoria vi è il rischio di una spirale inflattiva fra aumento dei prezzi e aumento dei salari: negli anni Settanta avvenne esattamente questo, con conseguenze deleterie. Molto dipende però da qual è il livello degli aumenti, che a quell’epoca (con la scala mobile e il punto unico di contingenza) risultava davvero spropositato.
Oggi la situazione è diversa.
Per evitare che si inneschi la spirale, è sufficiente rimanere nel quadro di accordi fissato dal governo Ciampi, nel 1993 (che infatti non fecero aumentare l’inflazione): prevedere anticipi degli aumenti salariali sulla base del tasso di inflazione programmata, con verifica ex post.
Quel sistema adesso va aggiornato e adeguato: gli ultimi contratti sono stati rinnovati con una previsione di inflazione al 2 per cento (meno di un terzo di quella effettiva, per ora: 6,7 per cento) e la verifica ex post viene fatta su un tasso, l’Ipca, che non tiene conto nemmeno dei costi delle materie prime energetiche.
Occorre poi evitare che gli affitti diventino insostenibili.
In Spagna, a fronte di un tasso di inflazione al 9,8 per cento, il governo Sanchez ha posto un tetto del 2 per cento all’aumento dei canoni di locazione, per i prossimi tre mesi. In Italia si può pensare a una misura simile: un limite temporaneo agli aumenti o anche un loro congelamento.
Certo, nemmeno questa è una scelta neutra: redistribuirebbe risorse dalla rendita verso le partite Iva, i commercianti e tutti i cittadini che non possono permettersi di vivere in una casa di proprietà.
Terzo, i contributi sociali. È evidente che anche questi vanno aggiornati alla luce della crescita dei prezzi. Sempre in Spagna, il governo ha deciso di aumentare del 15 per cento l’importo dell’Ingreso minimo vital (l’equivalente del nostro reddito di cittadinanza, anche se lì è stato fatto meglio).
Anche da noi una qualche rivalutazione e ampliamento della spesa sociale sarà un intervento giusto, oltre che saggio. Costoso, certo. Ma solo in apparenza: se proporzionale all’aumento dei prezzi, la percentuale in rapporto al Pil non cresce (dato che anche il Pil nominale aumenta, grazie all’inflazione).
A differenza delle spese per la difesa, le quali peraltro sono inefficienti perché andrebbero fatte su scala europea. A maggior ragione, il tema dell’adeguamento della spesa sociale dovrebbe essere posto senza tabù.
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