Il caso dello spyware Graphite, prodotto dalla società israeliana Paragon e usato per intercettare illegalmente giornalisti e attivisti delle ong, ha riportato al centro il tema delle intercettazioni, da sempre l’incubo della politica italiana.

Ma a differenza di quelle usate dalla magistratura nelle indagini, che sono nel mirino del governo, lo stesso esecutivo sembra del tutto indifferente e silente rispetto al caso Paragon, cioè a captazioni che violano i diritti, fuori dalle regole del codice di procedura penale.

Se sul caso Paragon il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha detto poco o nulla, al contrario sulle intercettazioni fatte dai pm va in escandescenza invocando la sacrosanta privacy dei cittadini e i costi eccessivi dello strumento.

Pochi sanno, però, che esiste un articolato e complesso mondo di intercettazioni che possono ben essere definite “di governo”. Sono quelle per le quali sono particolarmente sfumate le forme di controllo e delle quali non ne rimane traccia se non nelle memorie di coloro che le dispongono ed eseguono.

Intercettazioni preventive

Si tratta delle cosiddette intercettazioni preventive disciplinate dall’articolo 226 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale. È il ministro dell’Interno che se ne fa promotore quando ritiene che siano insorte esigenze di prevenzione rispetto alla possibile commissione di reati particolarmente gravi quali terrorismo, eversione e criminalità organizzata.

Su sua delega possono quindi essere intercettate comunicazioni e conversazioni, anche per via telematica, anche nei luoghi di privata dimora dei cittadini e soggetti sottoposti a osservazione. Queste attività investigative sono normalmente delegate ai servizi centrali interprovinciali della polizia di stato, dell’arma dei carabinieri e del corpo della guardia di Finanza. In casi particolari il ministro dell’Interno può delegare anche la Direzione investigativa antimafia.

È vero che in tutti i casi deve essere richiesta l’autorizzazione del procuratore della Repubblica distrettuale del luogo dove si trova il soggetto da intercettare o dove sono nate le esigenze di prevenzione individuate dal ministero, ma è altrettanto vero che il suo controllo rimane limitato a ciò che gli viene offerto al di fuori di un’indagine che ha come oggetto la semplice possibilità che venga commesso un reato tra quelli appena indicati. Non è previsto alcun intervento di un giudice–filtro. Le attività di intercettazione possono durare 40 giorni, prorogabili per altri 20.

Di tutte le operazioni svolte e dei contenuti intercettati viene redatto verbale sintetico che, unitamente ai supporti utilizzati, deve essere depositato al procuratore che, entro 5 giorni, ne dispone immediata distruzione.

La riforma del 2005

Ma non finisce qui. Nel 2005 è stato introdotto dal governo Berlusconi un altro canale di attività di intercettazione “governativa” che dà al presidente del Consiglio la possibilità di attivare il sistema delegando i servizi segreti. Le materie per le quali si possono effettuare le intercettazioni sono originariamente limitate a terrorismo, eversione e mafia.

Il sistema è del tutto analogo a quello del ministro dell’Interno. L’autorizzazione spettava però al procuratore generale della Corte d’appello territorialmente competente. Nel 2012, col governo Monti, ecco la nuova svolta: sarà il procuratore generale di Roma a autorizzarle per tutto il territorio nazionale.

Ciò che più potrebbe sorprendere, però, è l’introduzione di una sostanziale illimitata discrezionalità a favore del presidente del Consiglio che può attivare il sistema di controllo non più soltanto per la ritenuta possibilità di dover prevenire attività terroristiche, di eversione o mafia ma per tutte le attività previste agli articoli 6 e 7 della legge 124 del 2007 che ha costituito i nuovi servizi segreti Aise e Aisi.

Il solo limite è quello del perimetro delle attività istituzionali per le quali sono stati costituiti i servizi segreti. Una discrezionalità molto ampia.

Le ragioni delle attività investigative preventive perdono cosi il collegamento alla possibilità della commissione di reati ma si estendono a generiche ragioni di «sicurezza interna a protezione di interessi politici, militari, economici, scientifici ed industriali».

Il governo Meloni ha stabilito che le relative spese, non andavano più imputate al ministero della Giustizia, con buona pace (si fa per dire) del ministro Nordio, ma a quello dell’Economia e Finanza. Siamo così certi che tutti i problemi del sacrificio della privacy dei cittadini italiani e dell’eccesso di spesa siano da imputare alle intercettazioni giudiziarie che sono tanto utili all’accertamento dei reati e al perseguimento dei responsabili?

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