Ari racconta su Domani la sua esperienza di riscatto e di come con quel cognome pesante (il cugino era un capo clan) ha trasformato la rabbia in impegno partecipando attivamente all’evento di Lamezia Terme, che inaugura il 18 giugno dal titolo “A futura memoria”.
“A futura memoria”, la raccolta di Leonardo Sciascia dà il titolo alla tredicesima edizione di Trame Festival. Parte oggi, dal 18 al 23 giugno a Lamezia Terme, e io sono già qui con la maglietta addosso e il badge al collo. Era il 2015, la quinta edizione, quando mi sono avvicinata a Trame, quasi per gioco, me ne aveva parlato una mia compagna di classe il cui padre è uno delle persone che hanno fondato l'Associazione Antiracket di Lamezia. E questa è la prima particolarità di questo evento: è un festival culturale di libri sulle mafie, fondato da chi sul territorio si è opposto e ha resistito a testa alta alle intimidazioni e alle richieste estorsive della ‘ndrangheta. La seconda specificità invece è la marea di volontari e volontarie che aiutano a mettere in piedi l’allestimento, e nel farlo hanno la possibilità di conoscere grandi scrittori, giornalisti, artisti, documentaristi, registi, cantanti.
Io sono una di loro. La prima volta, nove anni fa, essendo arrivata alla fine, sono stata aggiunta in un gruppo in cui non conoscevo nessuno e ciò ha contribuito a crearmi nuove reti di conoscenze e con il tempo di amicizie. Ricordo ancora le sensazioni di quei primi giorni, l'emozione di conoscere i grandi ospiti, l'adrenalina della macchina organizzativa che mi era fino ad allora sconosciuta e la felicità di conoscere ragazzi e ragazze della mia età e più grandi provenienti da tutta Italia, dalla Sicilia soprattutto.
La presa di coscienza vera e propria è arrivata l'anno successivo, con le prime responsabilità, i primi legami ritrovati e soprattutto rendendomi conto che il cognome che porto era ed è una responsabilità. Un mio cugino era un capo bastone della ‘ndrangheta. Per anni l'ho nascosto, per anni non ho risposto alle battute di compagne e compagni e conoscenti, per anni leggevo i giornali e custodivo gelosamente la rabbia che provavo.
Una rabbia che Trame ha trasformato in impegno. E ora quella mano sul petto e quel badge con su scritto "responsabile di palco" (che è ancora appeso nella mia stanza) hanno assunto significato nuovo, una presa di posizione netta e chiara, una decisione per quello che era il presente e per quello che sarà il futuro e -spero- un mio impegno costante.
Lì ho capito che avevo voglia e necessità di fare la mia parte, per come posso, nel mio piccolo. Spesso mi sono chiesta se avesse senso, ora urlo la risposta: «Ha tanto senso se ci fermiamo a pensare quanto la nostra terra e la nostra comunità siano devastate da un circolo vizioso e viziato di impoverimento e partenze, perché cresciamo, senza futuro e senza ambizioni, sapendo che farà parte della nostra quotidianità avere tra le nostre conoscenze almeno una persona emigrata e almeno una persona arrestata, sappiamo già di avere ben poche possibilità. Ha senso perché non ne possiamo più di dire e di sentire: «Ma a Lamezia Terme che fai?». Ha senso perché sappiamo che vuol dire riscrivere un destino».
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Anche l'anno della maturità, in cui anche senza maglietta ho dato una mano, persino negli anni in cui ho studiato fuori, il mio cuore nella terza settimana di giugno è sempre rimasto nella logistica del festival. Nel periodo dell'università ho iniziato con la militanza transfemminista ed LGBTQIA+, lì mi sono resa conto di quanto le oppressioni siano tutte collegate e la liberazione deve partire dal basso, in maniera intersezionale e autodeterminata. L'inversione di rotta deve partire da noi. Ciò non vuol dire buttarsi giù, piangersi addosso, portare avanti solo una narrazione negativa, è riconoscere la realtà e prenderne le redini.
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Dopo la laurea, il covid ed i corsi di specializzazione ho deciso di tornare a casa in Calabria. Avevo necessità di mettermi in gioco e a disposizione per la mia comunità, ho deciso di fare richiesta per svolgere il servizio civile universale presso la Fondazione Trame. Nel corso dell'anno il progetto "Trame a Scuola" è stata la mia occupazione principale, un'ulteriore conferma di ciò che voglio fare nella vita: parlare, ascoltare, raccontare. Conoscere le esperienze delle persone, chiacchierare con le autrici, parlare con i più giovani ed imparare da loro, capire il loro punto di vista e concretizzare la solita narrazione della legalità riflettendo su giustizia e liberazione. Trame a Scuola mi ha aiutata a comprendere quanto io avessi bisogno di "toccare con mano", fare un bagno di realtà, conoscere davvero la lotta che ho deciso di sposare a sedici anni.
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Nonostante tutto, oltre a chiedermi se abbia senso, mi chiedo anche: «È abbastanza?». E no, non è abbastanza, c'è ancora troppo da fare.
Non solo esperti, ma anche testimonianze che partano dal basso, di persone che la 'ndrangheta l'hanno vissuta e subita sulla propria pelle. Allargare il target, aumentare il pubblico giovane in modo da investire nelle generazioni future le quali possano invertire la rotta lavorando insieme. E poi cos'altro si può fare? Indossiamo tutti e tutte quella maglietta gialla e proseguiamo il nostro viaggio.
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