- Si sta considerando la necessità di dare un ulteriore impulso alla campagna vaccinale mediante l’adozione del cosiddetto “modello austriaco”, cioè l’obbligo di green pass senza l’opzione del tampone (super green pass).
- Il super green pass non sarebbe solo e tanto una spinta sempre meno gentile a vaccinarsi, ma costituirebbe una sorta di obbligo vaccinale sancito in via indiretta o, comunque, un onere al cui assolvimento sarebbe condizionata la possibilità di svolgere attività sociali e di svago.
- Va valutato se la percentuale di copertura vaccinale già raggiunta renda davvero necessaria l’imposizione di un’ulteriore stretta e se essa sia idonea a determinare una spinta alle vaccinazioni, inducendo i No-vax a cambiare idea.
Negli ultimi giorni, l’aumento dei contagi nel paese sta inducendo a considerare la necessità di dare un ulteriore impulso alla campagna vaccinale, dato che l’estensione dell’obbligo di green pass nei luoghi di lavoro non ha prodotto una spinta rilevante.
Pertanto, anche in Italia si comincia a valutare il cosiddetto “modello austriaco”, cioè un green pass senza l’opzione del tampone (super green pass). Serve capire quali siano le diverse implicazioni sul piano del diritto nell’uso di questo strumento.
Il green pass all’italiana
Finora la regolazione del green pass – obbligatorio per accedere a luoghi di svago, mezzi di trasporto a lunga percorrenza e posti di lavoro – ha previsto la possibilità del tampone, in alternativa a vaccino o guarigione.
La certificazione verde è stata introdotta, innanzitutto, per incentivare le vaccinazioni, come dichiarato espressamente da esponenti del governo. Tant’è che i tamponi per ottenere il pass sono rimasti a pagamento proprio per spingere verso il vaccino, che invece è gratuito.
Tuttavia, non essendo stata definita la percentuale di vaccinati che ci si proponeva di conseguire con l’uso di questo strumento, non può dirsi se esso abbia davvero funzionato in questo senso. Il green pass è stato anche inquadrato come misura di salute pubblica, nonché di sicurezza nei posti di lavoro, volta a garantire la salubrità di certi luoghi, anche se in talune circostanze – da alcuni concorsi pubblici alle conferenze stampa del presidente del Consiglio – è comunque richiesto un tampone, per maggiore cautela.
Si è anche parlato di certificazione Covid-19 come strumento diagnostico, perché consente di individuare persone infette tra coloro i quali ricorrono all’opzione del tampone. Si tratta di un effetto positivo dell’obbligo di green pass, ma non era questo il fine principale per cui esso è stato introdotto.
Il modello austriaco in Italia
L’obbligo di certificazione verde rilasciata solo a seguito di vaccinazione o guarigione da Covid-19, se implementato come in Austria, non sarebbe soltanto un nudge rafforzato, cioè una spinta sempre meno gentile a vaccinarsi, ma costituirebbe una sorta di obbligo vaccinale in via indiretta o, comunque, un onere al cui assolvimento sarebbe condizionata la piena fruizione di libertà da parte dei non vaccinati.
Il super green pass non comporterebbe la sospensione di diritti quali quello a lavorare – nei luoghi di lavoro resterebbe consentita l’opzione tampone – ma subordinerebbe alla immunizzazione il godimento di spazi e momenti di vita sociale. Del resto, il legislatore può variamente graduare la previsione di una vaccinazione e le relative conseguenze.
Al riguardo, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 5 del 2018, ha ritenuto che la necessità di bilanciare i molteplici «valori costituzionali coinvolti nella problematica delle vaccinazioni» – dalla salute pubblica alla libertà personale alla solidarietà sociale – comporti la valutazione da parte del legislatore delle «modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive»: egli può usare «talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell’obbligo, nonché, nel secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l’effettività dell’obbligo».
In altre parole, la prescrizione di una vaccinazione può atteggiarsi in vario modo, e nel nostro ordinamento ce n’è qualche esempio. La mancata effettuazione di una delle dieci vaccinazioni obbligatorie per l’infanzia impedisce di frequentare asili nido e scuole materne; invece, per le scuole dell’obbligo comporta una sanzione economica (da 100 a 500 euro), salvo che non dipenda da comprovate ragioni di salute, ma non preclude l’accesso all’istruzione.
Il pagamento di una somma di denaro non sana la situazione, ma ha comunque funzione “riparatoria” e deterrente. Gli obblighi vaccinali in ambito lavorativo si configurano in modo diverso: dal loro mancato adempimento discende l’inidoneità a svolgere la mansione per la quale è richiesta la particolare tutela sanitaria, a causa dell’esposizione a un rischio specifico. L’impossibilità di adibire ad altre mansioni il lavoratore che non volesse vaccinarsi potrebbe determinarne anche il licenziamento, dopo un certo iter.
Dunque, l’obbligo di green pass senza l’opzione tampone, con le conseguenti limitazioni della sfera delle libertà personali, rappresenterebbe solo una delle diverse sfumature della imposizione di un vaccino, forse tesa ad attenuarne la percezione.
La legittimità
Se, ai sensi della Costituzione (articolo 32), nel rispetto di alcuni vincoli, può essere imposto un obbligo vaccinale in via diretta – nei mesi scorsi esso è stato sancito per medici e personale sanitario, poi anche per i lavoratori delle residenze sanitarie – parimenti potrebbe essere legittima una previsione in via indiretta, derivante dall’obbligo di green pass senza tampone, cui sarebbe condizionato lo svolgimento di attività sociali e di svago, come detto.
Vanno, tuttavia, considerati due ordini di questioni. Innanzitutto, l’imposizione dell’obbligo di certificazione verde, con una limitazione di diritti derivante dalla mancata effettuazione della vaccinazione, richiederebbe un attento bilanciamento fra gli interessi e i diritti coinvolti. Andrebbe innanzitutto valutato se la percentuale di copertura vaccinale già raggiunta nel paese renda davvero necessaria un’ulteriore stretta, e se essa sia idonea a determinare un incremento delle vaccinazioni.
Peraltro il legislatore dovrebbe finalmente indicare qual è l’obiettivo che si prefigge. Inoltre, poiché l’estensione del green pass nei luoghi di lavoro non ha forse prodotto la spinta alle vaccinazioni che ci si augurava, prima di introdurre uno strumento ancora più limitativo servirebbe valutare, in base alle scienze cognitivo-comportamentali, se l’imposizione dell’obbligo di green pass senza l’opzione tampone sarebbe idonea a sortire risultati migliori.
Ciò andrebbe considerato anche tenendo conto che il progressivo ampliamento dell’obbligo di certificazione Covid ha determinato una radicalizzazione delle posizioni, peraltro con proteste e manifestazioni che hanno amplificato il rilievo dato dai media a No-vax e no-green pass irriducibili. Pertanto, non è certo che questi ultimi potrebbero essere indotti a cambiare idea attraverso uno strumento ancora più coercitivo della certificazione verde qual è stata finora.
In conclusione, non ci si può limitare a dire che in Austria il super green pass sta incrementando le vaccinazioni. Non basta prendere di peso una misura e calarla in un contesto diverso, auspicando che funzioni nello stesso modo, ma occorre sempre verificare le differenze nella situazione di partenza – nel caso concreto, in particolare, la copertura vaccinale nei diversi paesi a confronto – sulla quale si intende intervenire, oltre ad altri elementi di contesto. L’analisi ex ante della regolamentazione serve proprio a questo.
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