- Gli ultimi dati sulle dimissioni volontarie confermano la tendenza registrata nel 2021. Nei primi 9 mesi del 2022 1 milione e seicentomila persone hanno lasciato il lavoro. Il 22 per cento in più rispetto all’anno precedente.
- È un peccato che l’analisi del cambiamento del rapporto con il lavoro soprattutto delle generazioni più giovani non sia al centro della discussione congressuale del partito democratico.
- Nel contesto reso quanto mai complicato dalle conseguenze della guerra, è indispensabile essere capaci di immaginare e costruire il futuro.
Gli ultimi dati sulle dimissioni volontarie confermano la tendenza registrata nel 2021: nei primi 9 mesi del 2022 1 milione e seicentomila persone hanno lasciato il lavoro, il 22 per cento in più rispetto all’anno precedente. Si consolida dunque la direzione di marcia del dopo pandemia. Le prime analisi, tra le più recenti quelle del Politecnico di Milano, accendono i riflettori.
Parliamo di una scelta, fatta da giovani, con elevate competenze digitali, alla ricerca di maggior benessere e libertà.
Il giudizio sul Jobs act
È un peccato che l’analisi del cambiamento del rapporto con il lavoro soprattutto delle generazioni più giovani non sia al centro della discussione congressuale del Partito democratico.
È un peccato perché la realtà non la si può rappresentare senza la percezione dell’importanza dei segnali di cambiamento. E siamo di fronte alla trasformazione più importante dell’intero mondo del lavoro trainato dalle trasformazioni digitali di cui il trend delle dimissioni volontarie è un aspetto. Di portata paragonabile a quella della rivoluzione fondista e taylorista di inizio novecento.
Sarebbe una occasione persa, e anche un errore poi, se la discussione si concentrasse nel giudizio sul Jobs act, non perché sia un tema divisivo.
Semplicemente perché non è quel giudizio che rimette il partito democratico in sintonia con le aspirazioni, i bisogni, i desideri delle persone nel rapporto con la propria dimensione di vita e lavoro. Da qualunque parte si affronti il tema: dal livello delle retribuzioni, alla precarietà, al gender gap, al rapporto tra tempo di vita e tempo di lavoro. Allo spazio del lavoro nella costruzione della identità di ciascuno.
Tanto più che il giudizio sul Jobs act nella discussione finora è stato proposto come misura della distanza dalla stagione di governo che l’ha generato.
Ma l’abiura del Jobs act - su quale delle 4 parti che lo compongono, perché appunto sono quattro le parti di cui è composto e quattro i decreti emanati, uno dei quali contiene l’estensione dei congedi parentali e lo stop alle dimissioni in bianco - o viceversa la sua elegia, che cosa dice di concreto alle persone?
Chi sono le persone che scelgono di dimettersi
Alcune recenti indagini dicono che quelle dimissioni sono determinate dalla “ricerca di un nuovo senso di vita”. Non a caso dopo la pandemia, che ha rivelato la fragilità di un intero ordine, cancellato l’illusione delle “magnifiche sorti e progressive”, accelerato le trasformazioni digitali, dei processi produttivi e del lavoro. Creato anche per questo nuove diseguaglianze e nuove opportunità legate alle competenze digitali.
Se le “dimissioni in bianco” hanno riguardato le giovani madri che ancora oggi sono costrette a scegliere tra lavoro e cura, le dimissioni di cui parliamo riguardano giovani tra i 18 e i 35 anni, soprattutto maschi con mansioni impiegatizie e competenze digitali importanti.
Persone cioè che in virtù delle loro competenze hanno l’autonomia necessaria per esprimere un rapporto di forza con il mercato del lavoro alla ricerca di maggiore libertà e benessere. Il quadro che ne viene fuori è quello di un diverso rapporto di una generazione con il lavoro, non più veicolo di identità. Di nuove possibilità e libertà che le trasformazioni digitali consentono. Un quadro dunque di un mondo del lavoro profondamente cambiato in tutti i suoi aspetti.
Rappresentare il lavoro che cambia
Il cambiamento profondo di questi tempi, sia dei processi produttivi e organizzativi indotti dalle trasformazioni digitali a partire dalla possibilità di lavorare da remoto, che del rapporto con il lavoro di una generazione rivelato dall’aumento delle dimissioni volontarie è dunque la realtà nella quale calare un nuovo sistema di diritti che possa garantire quella libertà, dignità, sicurezza del lavoro di cui all’articolo 1 della Costituzione.
Serve un nuovo architrave che li sorregga. Se l’articolo 18 contro i licenziamenti senza giusta causa lo è stato per lo Statuto dei lavoratori degli anni 70, il diritto al digitale e alla formazione permanente dovrà esserlo per il futuro.
Nel contesto reso quanto mai complicato dalle conseguenze della guerra sulla nostra economia, sull’inflazione che erode salari già vergognosamente bassi e con l’aumento delle morti sul lavoro, è indispensabile essere capaci di immaginare e costruire il futuro. Perché è la condizione per affrontare il presente, anche quello di tanto lavoro precario. È dunque questo il terreno sul quale dovrebbe misurarsi la discussione del Partito democratico.
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