- La caricatura di Elly Schlein di Francesco Federighi sul Fatto Quotidiano ha suscitato reazioni di disappunto. Ad inquietare è stata soprattutto l’associazione con la didascalia che l’accompagna, che rimarca il suo essere «figlia di un ebreo aschenazita».
- Nel clima politico attuale il rischio di dare un messaggio ambiguo a quanti sono ancora sensibili alla propaganda nazista è purtroppo fondato.
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Marco Travaglio, nell’accorata difesa della caricatura pubblicata dal suo giornale, stigmatizza come onanisti e cortigiani quanti hanno mosso rilievi. Ma farlo è un atto simmetrico rispetto alla sacrosanta libertà di critica e di satira.
La caricatura di Elly Schlein realizzata da Francesco Federighi sul Fatto Quotidiano ha suscitato reazioni di disappunto. Metterla in discussione non è un attentato alla libertà di stampa. Non è la caricatura della neosegretaria del Pd in quanto tale a inquietare, ma l’associazione con la didascalia che l’accompagna, che rimarca il suo essere «figlia di un ebreo aschenazita».
Ora, lo sanno tutti che la discendenza ebraica è per linea materna, ma avere un padre ebreo indica comunque delle precise radici. Fedrighi raffigura Schlein con un naso accentuato. È altrettanto noto che, dal medioevo a oggi, il cosiddetto “naso ebraico” è stato oggetto di rappresentazioni caricaturali che volevano mettere in evidenza una specificità somatica “razziale” del tutto negativa.
È vero, come dice Vauro, che gli ebrei possono avere anche il naso alla francese, ma lo stereotipo a cui ci ha abituati la propaganda antisemita con le sue vignette, visti anche i tempi bui che stiamo attraversando, ci invita a una certa cautela perché rischiano di riaprire ferite mai sanate.
La critica, la contestazione, la satira, anche le più crudeli, sono forme di espressione connaturate alla salute di una democrazia. La satira in particolare ha sempre enfatizzato per sua natura le caratteristiche somatiche del soggetto preso di mira: è sulla capacità di essere crudele che la satira gioca la sua partita.
Gli artisti del XX secolo, sulla spinta delle avanguardie, hanno sempre cercato lo scandalo come condizione del loro stesso esistere. Ancora oggi questa aspirazione persiste, come dimostrano più protagonisti della scena contemporanea.
Solo un ingenuo potrebbe pensare che un artista possa rammaricarsi per aver subito una censura. Censura e proteste sono anzi cercate in quanto danno visibilità tanto all’autore quanto alla sua opera.
Il desiderio di fare scandalo non riguarda solo l’arte, ma coinvolge molti aspetti della cultura nelle sue diverse espressioni, compreso il giornalismo. Tanto che non mancano giornalisti che sulla capacità di insultare il politico o il collega preso di mira, storpiarne il nome o punzecchiarlo con battute a effetto hanno costruito la loro fortuna.
Non prendiamoci in giro: manifestazioni di antisemitismo sono all’ordine del giorno, e seppure in Italia esiste ancora una sana coscienza civile, non mancano ambienti in cui rigurgiti nazisti sono ancora ben presenti.
Il cortocircuito
Marco Travaglio, nell’accorata difesa della caricatura pubblicata dal suo giornale, stigmatizza come onanisti e cortigiani quanti hanno mosso rilievi.
Muovere un rilievo all’articolo di un giornalista, alla battuta di un comico, alla vignetta satirica o a una caricatura è un atto simmetrico rispetto alla sacrosanta libertà di critica e di satira. Non occorre scomodare Mill, Tocqueville o lord Acton per sostenere che la libertà di stampa è inscindibile dalla democrazia.
La critica alla caricatura pubblicata dal suo giornale non può allora essere accusata di appartenere, come scrive Travaglio, a un circolo di onanisti o di «filosemiti che esaltano il battaglione Azov».
Che la stampa sia sotto attacco è fuor di dubbio, ne sappiamo qualcosa a Domani. È dunque salutare in un paese come il nostro, che lotta per tenere vivi i principi della democrazia, ribadire l’importanza della critica. Faccia Federighi tutte le caricature che vuole, sia, se riesce, ad essere ancora più cattivo. È questo che si chiede alla satira.
Ma qualcuno al Fatto avrebbe potuto liquidare la faccenda dichiarando candidamente che associare quella didascalia è stato un involontario scivolone purtroppo non solo nel cattivo gusto.
E la storia, con buona pace di tutti, si sarebbe chiusa lì. Nel clima politico attuale il rischio di dare involontariamente un messaggio ambiguo a quanti sono ancora sensibili alla propaganda nazista è purtroppo fondato.
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