- Enrico Letta ha lanciato il nome della lista: Democratici e progressisti. Si spera che il Pd dia ascolto a tutti e non solo agli urlatori dell’ego-leaderismo.
- Il programma è difendere il modello democratico uscendo dalla guerra che è il terreno degli autoritarismi
- Non si può lasciare la mediazione alla Turchia: non è dignitoso per le democrazie. Il programma deve essere molto sociale per andare incontro ai cittadini e battere la destra sociale
Democratici e progressisti. Il simbolo non cambia; si aggiunge una scritta come fu “siamo europei”. Lista aperta a chi porta valore aggiunto con spirito costruttivo e senza veti. Questa è la proposta del Pp, costruita sull’esperienza delle agorà democratiche che hanno coinvolto migliaia di cittadini (iscritti e no).
Tutti coloro che guardano (da tempo) a tale cantiere democratico sperano che le parole sagge di Enrico Letta siano davvero condivise dal resto della dirigenza Pd: troppe volte li si è visti dare più ascolto a chi gli urla contro e li insulta invece che ai possibili alleati costruttivi e non conflittuali.
Si tratta di una vecchia regola della politique politicienne: chi rompe le scatole alla fine viene trattato meglio perché far rumore pare valere di più sui media. In queste ore i vari pretendenti stanno litigando sui nomi: questo sì, ma quello no; se ci sta lui io non ci sto e così via.
Ma il perimetro della coalizione progressista che si presenterà alle urne è solo una parte dell’equazione: l’altra sono i contenuti della proposta politica. Si tratta di una duplice questione: il programma della rinascita dell’Italia, sia dal punto di vista sociale che economico, per superare la crisi che è globale, tenendo conto della guerra e delle conseguenze della deglobalizzazione in corso.
Una questione democratica
Poi c’è la questione democratica: come difendere la nostra democrazia italiana -ed europea- dal modello aggressivo dei regimi autoritari che sono diventati i veri protagonisti della politica mondiale. Su questo secondo punto la destra è vulnerabile. Per reagire, invece di farsi reciproci esami del sangue, i progressisti dovrebbero consolidare nella loro coalizione l’esperienza democratica italiana basata su una cultura costituzionale certa.
Ciò serve a ridare protagonismo all’Italia -e all’Europa- sulla scena internazionale: non litigare fra europei ma riportarli in superficie per dire la loro sui cambiamenti in atto, primo fra tutti sul come fermare la guerra che favorisce soltanto gli autoritarismi.
La guerra è il loro mondo, non quello delle democrazie e non è dignitoso lasciare la mediazione alla sola Turchia. Per ciò che concerne il programma di rinascita, l’accento va posto sul malessere sociale: lasciar dire che si taglierà il reddito di cittadinanza è pura follia.
Così come su altri sussidi e bonus: tra i cittadini c’è un disperato bisogno di vedere lo stato e le istituzioni sensibili alle loro difficoltà. Attenzione: la sinistra avrà a che fare con la destra sociale e non con i tecnoliberisti, in calo in entrambe le coalizioni. Scuola, sanità e lavoro sono dunque le priorità, assieme ad una politica davvero green: l’Italia è nella mani del gas russo perché non ha fatto la transizione energetica 20 anni fa. Su questi pochi punti è possibile costruire una campagna vincente, a patto di smettere lo scontro tra ego-leaderismi ed egoismi.
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