- Quella che ancora ci si ostina a bollare come “ideologia gender” è in realtà un bisogno più che urgente di provvedere alla diffusa (e violenta) cultura che infligge traumi evitabili a tutti i bambini.
- L’idea che dai genitali discenda, a cascata, un’abnorme quantità di obblighi e divieti, possibilità di ruolo e destinazioni esistenziali, è un dispositivo che il potere tradizionale da sempre usa per proteggere sé stesso.
- Si sacrificano così la libertà e la dignità dei singoli, instillando vergogna e mettendoli gli uni contro gli altri, sin dall’età dei primi giochi, delle iniziazioni estetiche, ludiche, sportive.
Politici di destra, fondamentalisti cattolici e femministe anti-queer stanno usando soprattutto questo argomento per opporsi all’approvazione del ddl Zan: passi la lotta alla discriminazione e alle aggressioni, ma l’educazione di genere nelle scuole è un tentativo inaccettabile di legalizzare un’attività “ideologica” di diffusione di idee sbagliate, contro natura.
In realtà, quella che ancora ci si ostina a bollare come “ideologia gender”, se questo paese non fosse ostaggio di superstizione, preconcetti e resistenze scientificamente e sociologicamente infondate, dovrebbe essere vista per quello che è: un bisogno più che urgente di provvedere alla diffusa (e violenta) cultura che infligge traumi evitabili a tutti i bambini.
Perché l’idea che dai genitali discenda, a cascata, un’abnorme quantità di obblighi e divieti, possibilità di ruolo e destinazioni esistenziali, è un dispositivo che il potere tradizionale – chiamiamolo pure col suo nome: patriarcato – da sempre usa per proteggere sé stesso, sacrificando la libertà e la dignità dei singoli, instillando vergogna e mettendoli gli uni contro gli altri, sin dall’età dei primi giochi, delle iniziazioni estetiche, ludiche, sportive. Riguarda i bambini non conformi ma riguarda appunto tutti i bambini, perché tutti i bambini ancora oggi vengono costretti ad adeguarsi a una visione della società plasmata dal culto implicito della biologia e da un binarismo che gli studi di genere ci hanno insegnato a vedere nella loro unilateralità, a decostruire.
Si tratta allora di combattere le aggressioni emotive e psicologiche che violano i diritti di ogni bambino e di ogni adolescente, e non solo di quelli che (come poi saperlo in anticipo!) diventeranno omosessuali, bisessuali o trans, perché il repertorio che ingabbia maschile e femminile in aree blindate, sanzionando sconfinamenti e ibridazioni, esperimenti e uso libero del corpo, dovrebbe essere una preoccupazione comune.
Una preoccupazione che molti, nel dibattito in corso, invece non vedono o fingono di non vedere, perché affiliati a strutture – reali o simboliche – che collocano nella conservazione di questo sistema la garanzia della loro stessa sopravvivenza.
La chiamano “ideologia gender” per far passare l’idea che ci sia qualcuno che vuole traviare qualcun altro, ma noi ex bambini che hanno imparato presto a soffocare i propri desideri, riconosciamo il vuoto delle loro parole e la furia irrazionale dei loro slogan.
Ciò che chiamano “natura” è solo abitudine culturale, un’abitudine tra molte, che oggi può essere trasformata, variata, resa plurale, affinché ci si trovi finalmente tutti, e sin dalla nascita, in uno spazio più accogliente di quello attuale, in cui ogni personalità sia legittima e degna di riconoscimento e supporto. «Lasciate stare i bambini», li si sente urlare, mentre difendono un bambino tutto teorico, già amputato delle mille possibilità che gli intolleranti continuano a voler proibire, nel forsennato tentativo di proteggere solo sé stessi.
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