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Un bambino di 4 anni è morto dopo essere stato mandato a casa dal Pronto Soccorso dove non era stata riconosciuta una peritonite.
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Problemi di formazione, di organizzazione, di comunicazione concorrono a creare le condizioni perché l’errore accada.
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Parlare di malasanità non aiuta, perché suona come un giudizio di colpa che prescinde dall’analisi precisa di quanto accaduto. Denunciare medici e ospedali neppure. Bisogna invece dare a chi è vittima di un errore alcune cose semplici, ma fondamentali.
Un bambino di 4 anni è morto dopo essere stato mandato a casa dal pronto soccorso dove non era stata riconosciuta una peritonite.
Il fatto è avvenuto a novembre, ma i quotidiani ne hanno parlato solo nei giorni scorsi, in concomitanza con l’apertura delle indagini. Ogni volta che avviene un fatto del genere due pensieri si agitano dentro di me.
Uno dice: “Nel pronto soccorso che dirigevi tu non sarebbe mai successo”. L’altro gli fa eco: “Non può essere andata proprio così, i giornali danno sempre delle versioni imprecise dei fatti”.
Ovviamente tutti e due raccontano, come direbbe il commissario Montalbano, «la mezza messa». Errori gravi vengono infatti commessi quotidianamente in tutti gli ospedali d’Italia e del mondo (anche nel mio e, al suo interno, anche da me) mentre, per quanto in modo impreciso e sintetico, i media raccontano spesso una versione ragionevolmente accurata dei fatti.
Nel caso di cui si parla sembra che l’errore sia stato commesso da una specializzanda. Non sappiamo nulla della preparazione della dottoressa, né della sua dedizione al lavoro, ma sarei pronto a scommettere che si tratta di un bravo medico che sta iniziando con passione un percorso professionale irto di difficoltà e di responsabilità.
Un percorso che, come ho raccontato in altri articoli, sempre meno giovani decidono di intraprendere. Anche se questo può costare un grande sforzo alle parti interessate, bisogna riconoscere una volta di più che l’unica domanda sensata da porsi in situazioni come queste non è (o non è solo) “Di chi è la colpa?”, ma piuttosto “Perché è potuto succedere?”.
Solo così infatti possiamo imparare da un errore ed evitare di ripeterlo.
Il singolo e il sistema
Chi si occupa degli errori medici fa innanzitutto una importante distinzione tra gli errori cognitivi e quelli legati all’organizzazione del lavoro o ad eventi imponderabili.
Un articolo americano di alcuni anni fa elencava una lunga lista di errori cognitivi, esprimendoli nelle parole dei medici: «Non conoscevo abbastanza bene il problema». «Non ho valutato correttamente un esame». «Ho avuto troppa fretta». «Non ho rivalutato il caso quando avrei dovuto». «Non mi è neppure passato per la mente». «Mi sono lasciato influenzare da un caso simile…».
Tra gli errori di sistema possiamo invece annoverare l’eccessivo carico di lavoro e la conseguente stanchezza e perdita di lucidità dei medici, il sovraffollamento, la mancanza di protocolli condivisi e di formazione continua, l’inadeguatezza degli spazi, degli strumenti tecnici, dei tempi di esecuzione e di refertazione degli esami, la mancanza di posti letto nei reparti.
Spesso problemi cognitivi e organizzativi si sommano nel determinare l’errore. Su tutto gravano sovente problemi di comunicazione tra operatori, pazienti e familiari.
In particolare in pronto soccorso, la comunicazione è troppo spesso ridotta a poche parole, quando i familiari non sono addirittura invitati ad “attendere fuori”, come purtroppo è oramai la regola in questi tempi di Covid, perdendo così informazioni fondamentali, nell’uno e nell’altro senso.
Chi lavora in pronto soccorso riconoscerà facilmente molte di queste situazioni come parte del proprio lavoro quotidiano. I medici non specializzati o gli specializzandi che coprono turni per i quali non sono più disponibili medici d’urgenza esperti saranno sempre più esposti al rischio di commettere errori, creando gravi e a volte irreparabili problemi ai loro assistiti e soffrendo loro stessi per le conseguenze professionali e psicologiche che un errore può comportare.
Parlare di malasanità non aiuta, proprio perché suona come un giudizio di colpa che prescinde dall’analisi precisa di quanto accaduto. Denunciare medici e ospedali neppure.
In Italia ogni anno sono circa 30mila le cause per presunti errori medici e di queste quasi il 95 per cento termina con l’assoluzione degli imputati.
Bisogna invece investire ancora di più sulla formazione dei medici, con particolare attenzione ai temi della relazione, della comunicazione, del ragionamento clinico.
Bisogna dare a chi è vittima di un errore alcune cose semplici, ma fondamentali, che troppo spesso non si fanno per il timore che possano influenzare un eventuale ricorso legale.
Una spiegazione onesta di quanto è accaduto, delle scuse sincere, la garanzia che l’errore commesso sarà valorizzato per evitare che si ripeta in futuro. La proposta di un equo risarcimento quando sia evidente che si sarebbe potuto fare di meglio.
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