- Pochi giorni fa la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva una modifica della Costituzione aggiungendo la tutela dell’ambiente a quella del paesaggio e del patrimonio storico artistico.
- I risultati empirici della ricerca indicano che politiche di sviluppo sostenibile sono più efficaci quando maturate in un contesto di partecipazione culturale.
- Se il patrimonio culturale e quello ambientale sono sullo stesso piano e il museo è uno dei luoghi che li protegge entrambi, l’ambito di azione del museo si allarga ad accogliere anche la riflessione sui rapporti tra uomo e natura.
Pochi giorni fa la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva una modifica della Costituzione aggiungendo la tutela dell’ambiente a quella del paesaggio e del patrimonio storico artistico. Da ora, l’articolo 9 stabilisce che: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico artistico della nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello stato disciplina i modi e le forme della tutela degli animali». Di conseguenza la protezione dell’ambiente non sarà più solo salvaguardia dei nostri bei paesaggi ma sarà anche la difesa natura che quei paesaggi sottende.
È un concetto bellissimo e rivoluzionario che mette insieme cultura e natura: un binomio che seppure appaia ovvio non lo è affatto. Paesaggio e natura sono cose molto diverse. Il paesaggio è anche il risultato del lento e costante lavoro dell’uomo per addomesticare la natura, la natura è assenza dell’azione umana.
Giardini un tempo curati invasi dai rovi, ville storiche conquistate da rampicanti fioriti, campi e orti tornati al bosco. Come si regola la tutela del paesaggio e dell’ambiente in questi casi? A chi dare la precedenza? Al lavoro dell’uomo o quello della natura?
Integrare le rinnovabili
La questione diventa ancora più difficile quando parliamo di energie rinnovabili. Impianti eolici e fotovoltaici sono essenziali per proteggere un ecosistema in crisi, eppure la loro progettazione e realizzazione si scontrano spesso con le norme di tutela del paesaggio. Questioni complesse a cui non siamo preparati, abituati come siamo a considerare un orto quale paesaggio e un campo di grano, natura.
Non è così: la natura è bosco e radure, paludi e spiagge. Non riusciamo a vedere l’impatto che il nostro passato ha avuto sull’ambiente e quindi siamo spesso portati a volerlo preservare così com’è. Per molti le pale eoliche così come i pannelli solari rovinano il paesaggio. Certamente lo alterano, ma se l’uomo nel paesaggio è stato presente con un muro a secco allora oggi può esserlo anche con un pannello solare.
Sarà questione di capire come il pannello solare si possa integrare con la nostra eredità culturale, ossia con l’idea che ci siamo fatti di noi stessi attraverso il nostro patrimonio culturale. Oppure possiamo considerare la natura come un oggetto dell’uomo e considerare la sua sopravvivenza un capolavoro dell’Antropocene.
Comunque sia, mettere sullo stesso piano natura e cultura è rivoluzionario e capire a fondo le ramificazioni di questa nuova gerarchia è vitale. È qui che si gioca la vera transizione ecologica, nelle nostre teste.
I musei e le istituzioni culturali tutte hanno un ruolo fondamentale per promuovere questa nuova concezione. In uno studio ormai celebre, tre economisti italiani hanno dimostrato che esiste correlazione tra riciclare i rifiuti e le frequentazioni culturali (P. L. Sacco, M. Agovino, A. Crociata, Cultural factors for households recycling behaviour. The case study from Italy, Rivista internazionale di scienze sociali, 2015).
La cultura della crisi climatica
Secondo i dati raccolti e analizzati dagli studiosi, coloro che frequentano regolarmente luoghi della cultura riciclano di più. I risultati empirici della ricerca indicano che politiche di sviluppo sostenibile sono più efficaci quando maturate in un contesto di partecipazione culturale.
Lo studio ci consente di pensare che la consapevolezza di sé e degli altri che le arti e la storia ci insegnano, aiutano a risvegliare una coscienza ambientale.
Negli ultimi anni numerose associazioni culturali si sono mobilizzate per creare consapevolezza sulla crisi climatica e incoraggiare la trasformazione energetica. Il Climate Heritage Network presente anche alla Cop26 di Glasgow si propone di usare la cultura per accelerare azioni mirate a mantenere un aumento massimo delle temperature al di sotto di 1.5 per metà secolo.
L’idea è che la cultura promuove coesione sociale, crea senso di appartenenza all’interno di comunità, favorisce rapporti identitari con il proprio territorio, attraverso gli artisti diffonde ideali e incoraggia l’attivismo ecologico.
La Fondazione Europeana, che gestisce le collezioni digitali del patrimonio culturale europeo ha varato un programma di ricerca sulla sostenibilità delle proprie iniziative, con l’intento di limitare il più possibile le emissioni di Co2. Mentre la Commissione europea ha lanciato un’iniziativa interdisciplinare, The new European Bauhaus, che lega il green deal con i principi di sostenibilità, integrazione e arricchimento culturale e promuove progetti di rigenerazione urbana basati sulla sostenibilità ambientale.
Tutte queste iniziative hanno come scopo quello di promuovere la consapevolezza dell’impatto costante dell’uomo sull’ambiente (anche quando si fanno cose belle), ma soprattutto incoraggiano la ricerca di modelli culturali alternativi a quelli esistenti e non più sostenibili.
I paradossi
Non si tratta solo di costruire meno, meglio e in maniera più ecocompatibile, ma anche di calcolare il peso delle proprie azioni in termini di costo-opportunità. È opportuno fare una grande mostra con tante opere d’arte che arrivano da ogni parte del mondo in aereo? Si parla sempre del costo economico ma quello ambientale qual è?
È opportuno stampare poche copie di un ricco catalogo? Quante emissioni siamo disposti a concedere per questo privilegio? In che modo le fiere e i festival che negli ultimi anni hanno dominato l’offerta culturale globale sono compatibili con le politiche e l’azione in materia climatica? Sono eventi immersivi di grande successo ma dal punto di vista climatico poco raccomandabili.
I paesaggi protetti dall’Unesco come patrimonio dell’umanità ma dedicati a monocolture devastanti per la biodiversità che eredità proteggono? Se prendiamo sul serio le nuove parole della nostra Costituzione, trovare una risposta a queste domande è urgente. Ma possiamo andare ancora più in là.
Se il patrimonio culturale e quello ambientale sono sullo stesso piano e il museo è uno dei luoghi che li protegge entrambi, l’ambito di azione del museo si allarga ad accogliere anche la riflessione sui rapporti tra uomo e natura.
Vuol dire guardare un paesaggio di Jacob van Ruisdael e meditare sulla sopravvivenza dei boschi, studiare le fontane barocche e parlare dell’emergenza idrica. Cambia la materia del racconto. E questo nuovo racconto ci farà capire meglio il rapporto tra energie rinnovabili e paesaggio, tra cultura e consumo, tra immobilismo e azione. È importante che si faccia. Ce lo chiede la Costituzione.
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