I costituzionalisti sono già sul piede di guerra, avendo letto la bozza della proposta di riforma costituzionale che il governo, per minimizzare, chiama “premierato”. Ecco come sul sito di Palazzo Chigi viene presentata: «La riforma costituzionale ha l’obiettivo di rafforzare la stabilità dei Governi, consentendo l’attuazione di indirizzi politici di medio-lungo periodo; consolidare il principio democratico, valorizzando il ruolo del corpo elettorale nella determinazione dell’indirizzo politico della Nazione; favorire la coesione degli schieramenti elettorali; evitare il transfughismo e il trasformismo parlamentare».
Una serie di affermazioni in stridente contraddizione come «consolidare il principio democratico» e «favorire la coesione degli schieramenti elettorali» con apposito intervento costituzionale. Un obbrobrio che dovrebbe chiamarsi «dominio della maggioranza», non rafforzamento della democrazia, la quale si fonda sul principio di maggioranza e di opposizione.
Opposizione che non si minimizza nel momento in cui una maggioranza di forma, perché deve potere sempre avere la forza di contestare efficacemente ed, eventualmente, interrompere una maggioranza. Nessuna democrazia degna di questo nome si occupa di stabilizzare alleanze e indirizzi politici di “medio-lungo periodo”. I ventenni costituzionalizzati sono un’offesa alla democrazia non un suo rafforzamento.
Nell’era democratica che si è aperta con la sconfitta dei regimi fascisti, i nemici della democrazia si inventano attori costituenti, per, diciamo così, convincere gli scettici che sono veri democratici, mettendo i loro desiderata nella carta costituzionale. Non violazione, dunque, ma riscrittura delle regole, per fare come il sarto: adattare l’abito al corpo. Ma le costituzioni sono scritte – nella tradizione liberal-democratica – per adattare il corpo ai principi, non viceversa.
Il costituzionalismo autoritario, che abbiamo visto fiorire nel nuovo secolo, in Europa orientale e in America Latina, fa oggi capolino nel Bel Paese, riprendendo in mano il tentativo abortito della Renzi-Boschi, con l’astuzia di chi sembra aver imparato dalle sconfitte: presentando questa nuova proposta come una riforma minore, non radicale, non preoccupante, in perfetta linea con la democrazia parlamentare. E intanto propina un cesarismo bello e buono – l’elezione diretta del capo dell’esecutivo questo è; per giunta rafforzato da un Porcellum riabilitato (fu bocciato nel 2014 dalla Corte costituzionale) che garantisce al capo una maggioranza di “medio-lungo periodo”, con un presidente della Repubblica che decade a ruolo di maggiordomo, entrando in azione per ripulire i cocci di fallite maggioranze ed evitare le elezioni anticipate. Che devono scomparire, perché il governo non deve sentire il fiato sul collo, ma andare avanti in tranquillità per “un medio-lungo periodo”. Alla faccia della “democrazia”! Ridotta al voto ogni cinque anni; un voto che ha il carattere del consenso in bianco piuttosto che della partecipazione dei cittadini insieme ai partiti per «concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale» (art. 49 della Costituzione). Per descrivere questa proposta ha senso usare aggettivi come “cesarismo” o “bonapartismo”. Eleggere direttamente il capo del governo (assicurandogli in aggiunta un Parlamento supino) significa mettere la democrazia a testa in giú, ovvero con al primo posto l’esecutivo e ai suoi piedi i cittadini e gli organi rappresentativi di deliberazione. Regime plebiscitario.
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