La vicenda Sangiuliano-Boccia ha riportato in scena l’ennesima replica dello psicodramma sull’«egemonia culturale», la storica nozione di Antonio Gramsci, che, con qualche forzatura, viene applicata alle nomine. Il governo Meloni rivendica il compito «storico» di scardinare l’egemonia culturale della sinistra e di elaborarne una propria di lunga gittata. «Vasto programma», per dirla con De Gaulle, viepiù alla luce delle declinazioni grottesche o patetiche fin qui affiorate alla ribalta. Nei Quaderni del carcere gramsciani l’egemonia corrisponde al dominio ideologico di una classe o di un gruppo sugli altri, è la sovrastruttura che presiede ai rapporti di potere e, diversamente che in Marx, acquisisce un’importanza cruciale rispetto alla struttura economica.

E oggi? Facciamo alcuni rapidi esempi. Un elemento di «egemonia culturale» è senza dubbio la credenza diffusa che non vi siano alternative legittime al neoliberismo selvaggio. “Egemonia” è l’accettazione rassegnata del lavoro precario dei giovani che si affacciano sul mercato privi delle tutele godute dai genitori o dai nonni nell’ampio arco del “secolo socialdemocratico”, tra il Dopoguerra e la fine del Novecento.

A tal proposito, “egemonia” è l’interiorizzazione dell’«eterno presente» della politica, come lo definisce lo storico Giorgio Caravale, attribuendo tale dimensione anche all’antipolitico Grillo e al «rottamatore» Renzi (Senza intellettuali. Politica e cultura in Italia negli ultimi trent’anni, Laterza, 2023). Così, l’idea stessa della storia è andata a ramengo e, laddove il ventennio berlusconiano riuscì a trasformare l’opinione pubblica nel pubblico televisivo e questo in elettorato, ora i nessi causa-effetto si sono ulteriormente striminziti e spesso non vanno oltre la successione dei post su Instagram. Non si tratta di lanciare anatemi contro i social, che tutti usiamo e subiamo, ma di ammettere che a impressionarci sono ormai quasi più i follower che i voti (non parliamo degli argomenti, per carità).

Poi c’è la Rai dove l’«egemonia» governativa significa elaborare programmi, strutture linguistiche, contenuti narrativi all’insegna dell’edulcorazione o della rassicurazione, prima ancora che del «patriottismo» in fin dei conti non così eclatante né esecrabile. Insomma, a fare un giro di orizzonte, si direbbe che in Italia l’egemonia culturale in senso gramsciano sia saldamente della destra, e non da oggi. L’ultima stagione egemonica della sinistra sono stati gli anni Settanta-Ottanta segnati da esperienze quali Psichiatria democratica (Franco Basaglia in primis) o Magistratura democratica, che seppero divulgare conoscenze specialistiche in contesti larghi, coniugando la medicina o il diritto con la difesa dei più deboli.

Quindi si è innescata una «deriva dei continenti» che prende le mosse dal crollo del Muro di Berlino nel 1989. Ma la destra italiana che fa? Nel dubbio fra rivendicare un ruolo nel laboratorio globale del populismo o evolvere verso il moderatismo e l’europeismo, sceglie il piagnisteo sul primato della sinistra nelle istituzioni culturali. Il che segnala una certa inadeguatezza «storica» o forse una confusione identitaria, oltre a un classico paradosso. È che si tende a scambiare l’egemonia culturale con una presenza radicata della sinistra nella nicchia dell’industria culturale (editoria, cinema, arti) rivolta a strati d’élite e comunque non maggioritari nella società (i dati Istat dicono che sei italiani su dieci non leggono neppure un libro all’anno).

D’altro canto, questo difetto visivo è costato caro soprattutto alla sinistra, che non mette a fuoco quanto il neocapitalismo abbia fatto “sue” delle forme culturali e politiche fino a renderle “naturali”. Ma poco importa, perché la battaglia è aperta per conquistare alla destra la fortezza Bastiani dell’industria culturale, peccato che le servirebbe un ceto intellettuale di cui evidentemente scarseggia. Mentre si perpetua il canovaccio, esso sì “egemonico”, della commedia all’italiana i cui grandi sceneggiatori (Age, Scarpelli, Sonego, Scola) non avrebbero osato immaginare, un ministro inguaiato da una signora di Pompei che si chiama Boccia. No, dai, non è credibile…

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