Dopo l’inserimento della “sovranità alimentare” nella denominazione del ministero dell’Agricoltura, una proposta di legge costituzionale mira a introdurla anche nella Carta. La proposta, a prima firma di Tommaso Foti (FdI), aggiunge un nuovo comma all’articolo 32 dedicato al diritto alla salute: «La Repubblica garantisce la sana alimentazione del cittadino. A tal fine, promuove il principio della sovranità alimentare e tutela i prodotti alimentari simbolo dell’identità nazionale». La disposizione presenta criticità rilevanti.

Il diritto al cibo

Il diritto al cibo è riconosciuto da trattati internazionali, come la Dichiarazione universale dei diritti umani, e dalle Costituzioni di un centinaio di Paesi. Alcune di queste lo proteggono in modo diretto, traducendolo in obblighi giuridici per lo Stato e rendendolo giustiziabile nei tribunali.

Nella Costituzione italiana, invece, esso si evince indirettamente dall’adesione dello Stato ai trattati, nonché da alcune disposizioni che tutelano il principio di dignità umana e dignità sociale, in particolare attraverso la previsione del diritto al lavoro.

La sovranità alimentare

La sovranità alimentare è stata definita nel 1996 da Via campesina, organizzazione internazionale, come «il diritto di ogni nazione a mantenere e sviluppare la capacità di produrre il cibo necessario, rispettando la diversità produttiva e culturale». L'idea era quella di rimettere il potere nelle mani delle persone che producono, distribuiscono e consumano cibo, contro le logiche delle grandi imprese e le relative dinamiche commerciali. Dopo il Forum per la sovranità alimentare del 2007 in Mali, è invalsa la definizione secondo cui essa rappresenta il «diritto dei popoli di avere a disposizione cibo sano e prodotto in modo culturalmente appropriato e sostenibile, e il diritto di definire autonomamente i propri sistemi alimentari e agricoli».

Dalla relazione illustrativa alla citata proposta di legge costituzionale emerge un concetto di sovranità alimentare che presenta altre venature.

Le incongruenze

Per i redattori della proposta, la sovranità alimentare comporta non solo «la necessità di preservare la sicurezza delle scorte e degli approvvigionamenti alimentari, il sostegno della filiera agroalimentare» e similari, ma anche la «tutela della sana alimentazione» attraverso la protezione dei «prodotti nazionali che, per il loro pregio sotto il profilo qualitativo, rappresentano lo Stato italiano, anche e soprattutto nei rapporti con l’estero».

L’obiettivo è, innanzitutto, quello di cristallizzare nella Costituzione il principio che il cibo italiano sia garanzia di qualità. Ma il concetto di cibo salubre non può essere affermato in via teorica, a prescindere da qualunque valutazione di tipo dietologico e nutrizionale. Basti pensare che il consumo giornaliero di prodotti - tipicamente italiani - come salumi, formaggi e vini è sconsigliato nelle linee guida per una sana alimentazione del CREA, ente vigilato proprio dal ministero della sovranità alimentare.

Inoltre, nel testo della disposizione si fa coincidere il buon cibo, che garantisce la salute, con l’identità italiana. Ma quest’ultima non c’entra niente con il diritto alla salute. È una forzatura che tradisce la vera finalità dell’intervento sulla Costituzione. Intervento venato dal sovranismo che connota l’attuale governo e che si risolve anche in un sovranismo alimentare, più che nel principio di sovranità alimentare.

Quale “garanzia” del diritto al cibo

Sarebbe corretto sancire l’esigenza dell’educazione a un idoneo comportamento alimentare e, al contempo, alla consapevolezza dell’impatto sull’ambiente di ciò che si mangia. È, invece, la «garanzia» della «sana alimentazione del cittadino», prevista dalla proposta costituzionale, che solleva molti dubbi, oltre a quelli già esposti. «Garantire» - verbo usato nella Carta solo per i diritti inviolabili, ad esempio le cure gratuite agli indigenti – implica un consistente impegno economico per lo Stato, che dovrebbe assolvere all’obbligo giuridico di fornire a tutti un’alimentazione adeguata.

Ma sancire un diritto senza avere le risorse necessarie ad assicurarlo in concreto crea un corto circuito giuridico, traducendosi in una demagogica farsa: il diritto rischia di essere non esigibile, cioè non effettivamente fruibile, quindi di restare solo virtuale.

Quello stesso Stato che non riesce a erogare buone cure a chi ne ha bisogno, come previsto dall’art. 32 Cost., sarebbe davvero in grado di garantire cibo sano a tutti?

La Costituzione non è un contenitore per la raccolta indifferenziata dei “desiderata” del governo di turno. Meglio tenerlo presente.

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