L’economia sta andando peggio del previsto e quindi sarà impossibile mantenere le promesse elettorali. Ci sono anche fattori esterni: ma diverse aggravanti vengono proprio da scelte miopi dell’esecutivo. Ora l’unica via sarebbe la redistribuzione fiscale (che non è nelle corde della maggioranza)
Il castello di carte del governo sta crollando per un moto di fondo: l’economia va male, più del previsto, ed è quindi impossibile mantenere le promesse elettorali. La frenata è un fenomeno europeo, a onor del vero, ha il suo epicentro in Germania e le scelte restrittive della Bce vi contribuiscono. Ma vi sono aggravanti dovute alle scelte del governo italiano.
Scelte sbagliate
Si pensi all’incapacità di sfruttare a pieno il Pnrr, in buona parte perché lo si voleva sottrarre alla Lega (Giorgetti) per portarlo sotto l’alveo di Fratelli d’Italia (con Fitto).
O si pensi alla difesa ostinata delle peggiori rendite di posizione, dai balneari (peraltro in latente conflitto di interessi) ai taxisti, o ancora ai confusi provvedimenti «protezionisti», peraltro sganciati da ogni seria politica industriale nei settori decisivi, quelli della green economy. Oppure al taglio di provvedimenti che, per quanto assai mal congeniati e costosi, contribuivano a tirare l’economia, come il superbonus: che è stato cancellato tout court, ma andava sostituito con un serio programma, pluriennale, pubblico, di efficientamento degli edifici a partire da quelli di fascia più bassa.
Sul piano delle entrate, la flat tax per gli autonomi, innalzata da 65 a 85mila euro, oltre a generare gravi disparità di trattamento, peggiora i conti pubblici e incentiva l’evasione (per stare sotto la fatidica soglia). Nel frattempo l’ottimismo del governo, sbandierato ancora a luglio, ne palesava l’inadeguatezza anche solo nel saper comprendere la situazione reale in cui ci troviamo.
La scoperta
Ora si scopre che i soldi non ci sono. E non ci sono, fra l’altro, per garantire diritti fondamentali come la salute, o un minimo di tenuta salariale di fronte all’inflazione. Per salvare il salvabile, il governo reagisce come da copione. Da un lato punta sui condoni, mascherati sotto i nomi di compliance fiscale, per fare cassa a breve: ma a parte il fatto che il loro gettito è altamente incerto, i condoni in realtà non fanno che peggiorare le cose, dato che lasciano passare l’idea che a evasione e illegalità c’è sempre una toppa.
Dall’altro lato, prova a dare la colpa all’Europa, alle rigidità del patto di stabilità. Qui in linea di massima non ha tutti i torti: come acennato le politiche restrittive stanno soffocando l’Europa intera, sempre più indietro nella competizione tecnologica rispetto (gli Usa di Biden sono diventati molto più espansivi e «sviluppisti» di noi).
Ma è difficile, su questo, essere credibili in Europa, quando per mesi abbiamo raccontato che i fondi del Pnrr erano addirittura troppi. Il Pnrr è il più grande programma espansivo della storia dell’Unione europea, la più grande rottura con l’ortodossia del passato, ed è rivolto principalmente all’Italia. Noi stiamo mostrando di non essere all’altezza della fiducia riposta e, al contempo, chiediamo più margini per spendere i soldi come ci pare? Poco credibile (e poco serio).
Oltre a spendere bene il Pnrr, e al netto dei vincoli europei, una soluzione c’è. Si chiama redistribuzione fiscale: aumentare la tassazione sulle rendite (i proventi da immobili o da capitali sono ora tassati in maniera piatta) e reintrodurre progressività ed equità di trattamento anche nell’Irpef, fra autonomi e dipendenti. Una grande riforma progressiva, insomma, un’operazione di verità ed equità. Ma non è nelle corde di questa maggioranza, che si è di fatto rimangiata anche il provvedimento sulle banche e ha fatto della difesa delle disparità e degli interessi corporativi la sua ragion d’essere.
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