- Nel 2013 la navigazione si faceva sempre più ardua via via che, da un lato, l’emergenza diveniva meno acuta e, dall’altro, si avvicinavano inesorabilmente le elezioni, che avrebbero avuto luogo nei primi mesi del 2013.
- Pd e PdL iniziarono ad affilare le armi per il naturale confronto elettorale. Questa conflittualità, tuttavia, non si scaricò mai in un venir meno della fiducia.
- Il governo si dimise di propria iniziativa nel dicembre 2012, qualche settimana prima della fine della legislatura, non perché fosse venuta a mancare la maggioranza, ma perché il segretario del PdL, pur avendo condiviso fino ad allora la politica economica del governo, a sorpresa la attaccò duramente, il 7 dicembre alla Camera dei deputati.
Caro direttore, un'intervista su Domani (28 novembre) di Pasquale Cascella, già portavoce del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, contiene due affermazioni non corrispondenti ai fatti. La prima, su quello che l’intervistato chiama il «crollo» della maggioranza che aveva appoggiato il governo nato nel novembre 2011. La seconda, sulle responsabilità per la mancata riforma elettorale durante quel periodo.
La fase finale
Riferendosi alla complessa situazione parlamentare uscita dalle elezioni del febbraio 2013, Cascella dice: «La maggioranza precedente, quella che si era creata attorno a Mario Monti, era crollata nel momento in cui Monti aveva deciso di costituire una sua forza politica e di presentarsi in competizione».
Non è così. La maggioranza che il presidente Napolitano aveva saputo costruire a sostegno di quel governo, resse fino all’ultimo. I partiti che componevano quella maggioranza di unità nazionale (il Popolo della Libertà di Silvio Berlusconi, Il Pd di Pier Luigi Bersani e il Terzo Polo di Pierferdinando Casini e Gianfranco Fini, con la sola Lega all’opposizione) approvarono i numerosi provvedimenti proposti dal governo, malgrado i costi politici che ciascuna misura comportava per essi in termini di consenso. Ritengo che l’abbiano fatto, sia pure a volte con riluttanza, per due ragioni.
Si trattava di provvedimenti in quel momento difficili da evitare, che in effetti permisero all’Italia di evitare il default e poi di uscire dalla crisi finanziaria.
Inoltre, erano stati costruiti avendo cura che i costi politici gravassero in modo equilibrato sui tre partiti.
Naturalmente, questa navigazione si faceva sempre più ardua via via che, da un lato, l’emergenza finanziaria diveniva meno acuta e, dall’altro, si avvicinavano le elezioni di fine legislatura, che avrebbero avuto luogo al più tardi nei primi mesi del 2013.
I partiti iniziarono ad affilare le armi per il naturale confronto elettorale. Questa conflittualità non dette mai luogo in Parlamento a richieste di dimissioni del governo.
Tuttavia, avendo il PdL il 7 dicembre dichiarato di «considerare conclusa l’esperienza del governo Monti», il giorno seguente rassegnai nelle mani del capo dello Stato le dimissioni del governo, da formalizzare appena fossero state approvate le leggi di stabilità e di bilancio, il che avvenne il 22 dicembre.
Il venir meno della maggioranza non avvenne perciò «nel momento in cui Monti aveva deciso di costituire una sua forza politica e di presentarsi in competizione».
Infatti, quella decisione – di guidare un movimento denominato “Scelta Civica”, che si era dato come programma la cosiddetta “Agenda Monti”- la presi all’inizio di gennaio del 2013.
A quel punto, la maggioranza era ormai consegnata agli annali, dato che il 22 dicembre il presidente Napolitano aveva sciolto le Camere in vista delle elezioni.
La riforma elettorale
Pasquale Cascella dice anche che quella mia decisione «fu un segnale deleterio perché non consentì di approvare una riforma elettorale che pure era nel mandato di Monti».
Sorprende che il dottor Cascella, che fu portavoce di un capo dello Stato esemplare anche per la precisione storica e il rigore nell’aderenza ai fatti, mischi anche qui le sue legittime opinioni con ricostruzioni dei fatti non aderenti alla realtà.
La riforma elettorale non fu mai nel mandato del governo da me presieduto.
Ricordo l’amarezza, l’angustia, a volte lo sdegno con cui, nei nostri frequenti colloqui, il presidente Napolitano si riferiva all’inconcludenza del parlamento in quella legislatura sui temi, a lui giustamente tanto cari, delle riforme istituzionali e della riforma elettorale.
Fu sempre molto chiaro il presidente, anche in interventi pubblici severi e frequenti, sul fatto che al governo spettava il compito di superare la crisi finanziaria e di avviare le riforme economiche per la crescita, mentre il parlamento aveva la responsabilità, non differibile, delle riforme istituzionali ed elettorale.
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