- Come funziona il concordato fiscale, secondo Meloni: le agenzie fiscali con le banche dati a disposizione stimano il reddito su cui il contribuente deve pagare le imposte per i due anni successivi.
- Se il contribuente accetta, non paga imposte sull’eventuale eccedenza e non viene sottoposto ad accertamenti.
- Il rischio è quindi che aderiscano al sistema solo i contribuenti che hanno una ragionevole certezza di ricavarne un beneficio, di pagare cioè meno, con evidenti conseguenze sul gettito.
L’ex vicepremier Luigi Di Maio è stato sicuramente ingenuo, nel 2019, a dire che il reddito di cittadinanza avrebbe cancellato la povertà, ma la premier Giorgia Meloni lo batte quando dice al Sole 24 Ore che il concordato preventivo cancellerà (almeno in parte) l’evasione fiscale. O meglio è certo che la cancellerà, nel senso che la legalizzerà.
Come funziona il concordato fiscale, secondo Meloni: le agenzie fiscali con le banche dati a disposizione stimano il reddito su cui il contribuente deve pagare le imposte per i due anni successivi. Se il contribuente accetta, non paga imposte sull’eventuale eccedenza e non viene sottoposto ad accertamenti.
Ecco la rivoluzione copernicana: l’agenzia delle entrate, con quelle stesse banche dati con cui potrebbe controllare le dichiarazioni, per verificare che il reddito dichiarato sia quello effettivo, o addirittura, come sta facendo con l’Iva, precompilare la dichiarazione stessa, cercherà di prevedere un reddito futuro, dei prossimi due anni, e dirà al contribuente quanto pagare (ovviamente al 15 per cento, se sono contribuenti del forfetario, mica l’Irpef ordinaria).
I tentativi passati
Il concordato preventivo è una vecchia passione della destra. Il nostro paese ne ha conosciute ben cinque edizioni nel periodo del governo Berlusconi: nella legge finanziaria per il 2003, nella legge delega per la riforma fiscale del 2003, nella legge finanziaria per il 2004, in quella per il 2005, con il nome di “pianificazione fiscale concordata”, e in quella del 2006, con il nome di “programmazione fiscale”.
Tutti regolarmente non attuati o miseramente falliti (anche perché accompagnati da condoni ben più lusinghieri).
Ma nessuno dei tentativi con cui se ne è data una qualche articolazione, con la legge finanziaria per il 2004 e quella per il 2006, si era spinto così avanti come nella proposta annunciata dal viceministro Maurizio Leo e ripresa dalla presidente Meloni: non era stata prevista la piena detassazione dell’eccedenza rispetto al reddito concordato (ma “solo” generosi sconti fiscali quali il non assoggettamento a Irap) né la totale assenza di accertamenti a carico del contribuente (gli accertamenti rimanevano ad esempio quando il reddito eccedeva di più del 50 per cento quello programmato).
Nulla sappiamo ancora su elementi fondamentali della proposta: a chi è diretta? (Meloni parla di piccole e medie imprese ma Leo allarga a tutti i lavoratori autonomi) e con quale fatturato? Come si calcola la base imponibile?
Nelle proposte di vent’anni fa, l’aggancio era alle risultanze degli studi di settore, eventualmente con percentuali di incremento previste settore per settore. Ma gli attuali Isa (“indici sintetici di affidabilità” che hanno nel frattempo sostituito gli studi di settore) sono stati ampiamente svuotati dalla fuoriuscita dei forfetari (in regime di flat tax).
Sappiamo invece che sarà un sistema opzionale, come è sempre stato nelle versioni precedenti. Ed è allora evidente che, per essere appetibile, l’imponibile concordato dovrà essere adeguatamente sottostimato (per compensare il rischio in cui il contribuente incorre predeterminando il suo debito di imposta in una situazione di incertezza).
Il rischio è quindi che aderiscano al sistema solo i contribuenti che hanno una ragionevole certezza di ricavarne un beneficio, di pagare cioè meno, con evidenti conseguenze sul gettito.
Se il rischio di subire un accertamento in caso di non adesione fosse una deterrenza sufficiente vorrebbe dire che non avremmo più bisogno del concordato.
Le conseguenze
I contribuenti che aderiranno non avranno poi alcun timore di essere perseguiti se eviteranno di fatturare o di emettere scontrini (cosa che avranno interesse a fare per preparare un reddito più basso per il futuro concordato biennale).
Si rischierà quindi di cancellare la base informativa della fatturazione elettronica che è stata faticosamente estesa, proprio da quest’anno, anche a larga parte dei contribuenti del regime forfetario. Questo favorirà il diffondersi nel sistema dell’evasione fiscale.
Perché, con buona pace di Meloni, non è vero che in questi anni il tax gap è rimasto invariato. Fra il 2017 e il 2019 in particolare, proprio a fronte dell’introduzione di strumenti come la fatturazione elettronica, si è ridotta di 8 miliardi e mezzo (circa quanto è servito per finanziare il Reddito di cittadinanza).
Il problema serio è che se il nuovo sistema di concordato non si accompagnerà a una vera implementazione degli incroci delle banche dati, compresa l’anagrafe dei conti finanziari, cosa che sicuramente non è nelle corde dell’attuale governo, rischierà semplicemente di fotografare e legittimare la situazione esistente: una situazione in cui, come ci dice la Relazione sull’evasione allegata dal ministero dell’Economia alla Nadef di pochi mesi fa, il tax gap (e quindi la distanza fra imposta potenzialmente dovuta e imposta versata) per quanto riguarda la tassazione su redditi di lavoro autonomo e di impresa è superiore al 68 per cento.
Da domani il gap magicamente si chiude, perché quello che prendi in più rispetto al concordato puoi legittimamente non dichiararlo. Va bene così?
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