- In nessuna provincia d’Italia la Lega è giunta in testa, e di conseguenza in nessuna regione, ma nemmeno in nessun collegio. Zero.
- Solo in quattro province il partito si piazza al secondo posto, in 28 al terzo e nelle rimanenti è come minimo quarta fino a settima. Dal 1992 ad oggi la Lega nord ha occupato in media il primo posto in circa un sesto dei comuni italiani.
- Oggi i dissapori con i presidenti di regione, con molti amministratori, e per la prima volta con i militanti, stanno diventando palesi. Salvini è commissariato, non esautorato perché per ora non utile sostituirlo.
Zero. In nessuna provincia d’Italia la Lega è giunta in testa, e di conseguenza in nessuna regione, ma nemmeno in nessun collegio. Zero. Solo in quattro province il partito si piazza al secondo posto, in 28 al terzo e nelle rimanenti è come minimo quarta fino a settima.
Dal 1992 ad oggi la Lega nord ha occupato in media il primo posto in circa un sesto dei comuni italiani, con il picco del 2018 quando il partito guidato da Salvini raggiunse il primo posto nel 40 per cento dei municipi; in mezzo la buona prestazione del 1996 che premiò la scelta bossiana della corsa solitaria (33 per cento dei comuni in testa) e l’ascesa del 1994 allorché l’alleanza con berlusconi fruttò l’accesso al governo, anche grazie al primato nel 19 per cento dei comuni.
Il dato del 2022 è in linea con il disastro del 2001, quando la Lega nord, reduce dall’inversione a centottanta gradi imposta da Bossi tornò organicamente nell’alleanza di destra con Forza Italia ed Alleanza nazionale, non giunse in testa in nessun comune italiano e non superò, sebbene per un soffio, nemmeno la soglia di sbarramento del 4 per cento. Entrò in parlamento grazie ai collegi uninominali del nord in cui era ancora egemone.
Ma la fiacca elettorale della Lega di Salvini si evince considerando un dato che ne rileva il peso specifico nel sistema partitico, sommando i comuni in cui il partito è nelle prime tre posizioni.
Sempre attorno al 50 per cento dei casi tra il 1992 e il 1996 e anche nel 2008, e addirittura con valori prossimi al 70 per cento nel 2018; uniche eccezioni il 2001 (3 per cento) e il 2013 (11 per cento), il 2022 è un punto di chiara flessione nella storia delle camicie verdi rispetto al cinque anni fa, ma segnala che il partito nel nord si attesta tra il secondo e terzo posto (47 per cento). Eclatante il dato sulle vittorie: in solo 78 casi il partito è in testa, appena l’1 per cento, erano 3100 nel 2018.
Il risultato del 2022 – 8.7 per cento - è in linea con il dato del 1992-1996 poi confermato nel 2008 che valse alla Lega molti consensi di quanti in Alleanza nazionale mal digerirono la fusione con Forza Italia imposta da Berlusconi e non respinta da Gianfranco Fini. Rispetto a quei valori troviamo l’ipogeo stabile del 2001, 2006 e del 2013 post scandalo diamanti “cerchio magico”.
I valori assoluti dei voti sono altrettanto implacabili: nel periodo 1992-2022 i consensi raccolti lo scorso 25 settembre sono il quarto risultato peggiore di sempre.
Rapporti di forza nella destra-centro
Tra il 1994 e il 2013 la Lega nord ha sempre rappresentato la terza forza elettorale del trio della destra radicale, sebbene nel 1994 fu primo partito parlamentare grazie ad un vantaggioso accordo che le consentì di avere molti candidati nei collegi uninominali del nord.
Una quota oscillante attorno al 20 per cento della coalizione con il valore più basso nel 2006 (11 per cento).
Il 2018 rappresentò una eccezione, un capovolgimento di prospettiva che catapultò Salvini alla ribalta, con il partito egemone nella coalizione grazie a quasi la metà dei consensi.
Nel 2022 la Lega è comprimaria insieme a Forza Italia e decisamente minoritaria rispetto a Fratelli d’Italia che guida la coalizione in termini di voti (61 per cento) e seggi (50 per cento).
La Lega era e rimane il partito del nord, per il nord e dal nord. Cui è tornata a rifugiarsi storicamente nei momenti di magra, nelle fasi di crisi identitarie, durante gli scandali, per rimediare a ferite e lacerazioni di dissidi interni e divisioni.
A una stabile e solida permanenza nelle regioni settentrionali, che si attestava sopra il 90 per cento tra il 1992 e il 2013 (con la parziale eccezione del 2006 quando scese all’80 per cento), si sommava una quota minore, ma significativa nelle regioni dell’area rossa.
Assente il Sud, perché la Lega nord non presentava candidati e/o perché gli elettori la consideravano aliena. Il 2022 è l’anno del ritorno simbolico a nord, ma che gli elettori non hanno condiviso infliggendo una sonora sconfitta al partito, sanzionato a favore del voto per Fratelli d’Italia anche nelle province a più antico insediamento leghista.
A Pontida o a Roma?
La scelta nazionalizzante e post autonomista/secessionista di Salvini non ha trovato il favore degli elettori, nemmeno di quelli storici e nemmeno nelle roccaforti che furono.
La Lega è rimasta impantanata a metà del guado. Al di là della questione se stare o meno al governo, in discussione era il profilo del partito: nazionale e personale per Salvini, orientato pragmaticamente alla difesa degli interessi economici e finanziari del nord per la cosiddetta ala moderata dei presidenti delle giunte regionali.
Oggi i dissapori con i presidenti di regione, con molti amministratori, e per la prima volta con i militanti, stanno diventando palesi. Salvini è commissariato, non esautorato perché per ora non utile sostituirlo.
L’insegnamento di Bruno Salvadori dell’Union valdôtaine ebbe un impatto notevole sulla formazione di Bossi che capì quanto fosse necessario unire le varie leghe, un mondo frastagliato, fatto di gruppi di rievocazione storica, culturali, goliardi, movimenti autonomisti, indipendentisti, secessionisti.
La storia, le capacità e il carisma di Bossi riuscirono nell’impresa di tenere sotto le stesse insegne queste diverse componenti, ma soprattutto i lombardi e i veneti.
La Lega nord è stata storicamente guidata dal gruppo lombardo che mai ha mollato la presa e in particolare dalla classe dirigente varesina.
Dal punto di vista elettorale va considerato il peso degli elettori nelle due regioni principali perché pesano poi nei congressi e nell’equilibrio di poteri.
Nel duello lombardo-veneto a prevalere è sempre stata la regione di Bossi con un rapporto di forze di due a uno.
Su basi provinciale tra le prime dieci troviamo sempre sette lombarde, tranne nel 2006 e 2008 quando quelle venete diventano quattro, ma nel 2022 sono solo due (Treviso e Rovigo). Inoltre, solo nel 1994 e 1996 a guidare la classifica delle province più verdi furono città venete (Belluno e Treviso), mentre per il resto è stata quasi sempre Sondrio a guidare la graduatoria.
Salvini nella conferenza stampa post voto ha segnalato che la Lega (nord) vince quando fa la Lega (nord), ma quale, la sua o quella di Bossi?
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