- In Ungheria è passata una legge per cui è vietata la distribuzione e condivisione di materiale informativo sull’orientamento sessuale e identità di genere ai minori.
- Se si trova quando accaduto molto grave, bisognerebbe riflettere sul fatto che in Italia non è nemmeno presente l’educazione sessuale come materia scolastica, se non in forme approssimative e troppo esigue.
- L’Italia è infatti uno dei pochi paesi nell’Unione europea, insieme a Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia e Romania, in cui l’educazione sessuale non è obbligatoria nelle scuole.
Il governo del premier ungherese Viktor Orbán ha varato una legge discriminatoria e repressiva nei confronti della comunità LGBT+. Da ieri, infatti, è passata una legge per cui è vietata la distribuzione e condivisione di materiale informativo sull’orientamento sessuale e identità di genere ai minori.
La legge ungherese
Entrando nel dettaglio, la legge vieta la condivisione con minori di diciotto anni qualsiasi tipo di informazioni che il governo reputerà a suo giudizio a sostegno dell’omosessualità o relative all’identità di genere. Il governo ungherese ha infatti dichiarato: «Ci sono contenuti che i bambini sotto una certa età possono fraintendere e che possono avere un effetto dannoso sul loro sviluppo». Ad amplificare l’effetto di una legge ideologica volta a negare anche la più minima esistenza e dignità delle persone LGBT+ è una norma che regolamenta che solo le persone e le organizzazioni elencate in un registro ufficiale - predisposto dal governo - possano svolgere lezioni di educazione sessuale nelle scuole. La motivazione? La norma vuole impedire che a lavorare con i minori siano “organizzazioni con dubbia formazione professionale, spesso stabilite per la rappresentazione di specifici orientamenti sessuali”.
Educazione sessuale
Se si trova quanto accaduto molto grave, bisognerebbe riflettere sul fatto che in Italia non è nemmeno presente l’educazione sessuale come materia scolastica, se non in forme approssimative e troppo esigue. L’Italia è infatti uno dei pochi paesi nell’Unione europea, insieme a Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia e Romania, in cui l’educazione sessuale non è obbligatoria nelle scuole. Tuttavia l’agenzia per la salute sessuale e riproduttiva delle Nazioni Unite ha inserito l’educazione sessuale tra i diritti umani, realizzando delle linee guida per la scuole da rispettare che includono oltre anatomia e questioni fisiologiche, anche educazione all’affettività, alle relazioni di ogni tipo e differenze di genere.
All’interno dell’educazione sessuale e sentimentale - che dovrebbero includere sempre il tema dell’identità di genere e di orientamento sessuale, trattandosi di temi centrali - si esplica non solo il diritto umano a esistere, ad essere riconosciuto come valido, ma anche importanti come il contrasto alle discriminazioni, alle perpetuazioni di stereotipi di genere e a forme di violenza di genere. E quando si parla di genere e discriminazioni, è possibile toccare una molteplicità di temi. Come, ad esempio, favorire la piena consapevolezza e accettazione, così che un bambino con disabilità si percepisca pienamente desiderabile, e l’omosessualità sia intesa come ugualmente valida dell’eterosessualità; guidando i ragazzi e la ragazze nel momento più importante della loro vita: la crescita.
L’Italia è indietro
La Convenzione di Istanbul, che l’Italia ha sottoscritto, prevede all’articolo 14 che i paesi firmatari si impegnino a “includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto all’integrità personale”. Tuttavia, l’Italia non ha mai provveduto a garantire un sistema che regolamenti l’educazione alla parità di genere e alle differenze nelle scuole. I pochi progetti che esistono sono iniziative dei singoli istituti, finanziati da esterni e che spesso si trovano a fronteggiare le accese proteste di organizzazioni e gruppi omolesbobitransfobici, sessuofobici e contro la libertà di scelta.
Questo nonostante la riforma del governo Renzi “La buona Scuola” introducesse il ddl dell’educazione di genere e la prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università, nel 18 novembre del 2014. Il ddl riportava che: «Tra gli obiettivi nazionali dell’insegnamento nella scuola italiana è divenuto, pertanto, indifferibile porre espressamente, come elemento portante e costante, sia la promozione del rispetto delle identità di genere sia il superamento di stereotipi sessisti quasi tutti i paesi europei hanno infatti predisposto in campo educativo e scolastico strumenti di sensibilizzazione e di lotta contro gli stereotipi. In particolare, già con il Quarto Programma d’Azione (1996-2000) la politica europea delle pari opportunità».
Il testo menzionava anche l’identità di genere, senza parlare in maniera esplicita di cosa questo potesse comportare. Cosa che comunque è valsa una serie di articoli giornalistici volti a rassicurare i lettori e le lettrici che no, quando si parla di parità di genere e di superamento degli stereotipi di genere non si discute per forza di gender theories, ovvero un approccio multidisciplinare e interdisciplinare allo studio dei significati socio-culturali della sessualità e dell’identità di genere.
In Italia, dunque, sembra mancare una cultura della consapevolezza, del consenso e delle differenze che dovrebbe essere probabilmente alla base dell’educazione scolastica e forse contribuirebbe al decrescere di dati allarmanti come l’aumento della violenza maschile sulle donne, di episodi di omolesbobitransfobia, numero di giovani malati di depressione, femminicidi e l’aumento di casi di sieropositivi tra i minori di venticinque anni, tra le cose.
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