- La legge di bilancio sarà il primo banco di prova per il nostro paese degli impegni e del profilo assunti a livello internazionale.
- Se si vorrà arrivare ad un accordo globale sul clima a Glasgow occorrerà mettere sul piatto i 100 miliardi di dollari all’anno promessi per il fondo degli investimenti destinati ai paesi in via di sviluppo per il periodo 2020-2025.
- La quota che spetta al nostro Paese è di circa 3 miliardi di euro, di cui metà dal bilancio dello Stato e il resto tra investimenti privati e di società a controllo pubblico come Cdp e Sace, fino ad arrivare alla cooperazione internazionale.
La legge di bilancio sarà il primo banco di prova per il nostro paese degli impegni e del profilo assunti a livello internazionale, grazie a Mario Draghi e al ruolo di presidenza in partnership con il Regno Unito della Cop26, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite che si apre a Glasgow il primo novembre, e di presidenza del G20. La novità è che oggi nello scenario della transizione ecologica le sfide globali e gli impegni locali sono strettamente collegati.
A livello internazionale siamo arrivati a un passaggio decisivo per riuscire a rimanere in linea con l’Accordo di Parigi sul clima, e se sarà indispensabile portare tutti i Paesi verso impegni climatici più ambiziosi il confronto è in salita anche per il contesto economico difficile legato alla pandemia.
Anche in Italia tutti concordano sulla necessità di accelerare interventi e investimenti nella direzione della decarbonizzazione, ma si è aperto un confronto sui rischi della transizione – il “bagno di sangue” del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani – e occorrerà porre grande attenzione a tenere assieme giustizia sociale e ambientale.
E qui arriviamo alla prossima Legge di bilancio, che dovrà contenere alcune misure indispensabili per dimostrare che il nostro Paese vuole fare sul serio rispetto a queste sfide e che dovranno poi trovare una cornice di riforme coerenti nel disegno di legge delega sulla fiscalità approvato pochi giorni fa dal governo.
100 miliardi per Glasgow
Se si vorrà arrivare ad un accordo globale sul clima a Glasgow occorrerà mettere sul piatto i 100 miliardi di dollari all’anno promessi per il fondo degli investimenti destinati ai Paesi in via di sviluppo per il periodo 2020-2025.
La quota che spetta al nostro Paese è di circa 3 miliardi di euro, di cui metà dal bilancio dello Stato e il resto tra investimenti privati e di società a controllo pubblico come Cdp e Sace, fino ad arrivare alla cooperazione internazionale.
Da dove prenderli? Dalle tante rendite insopportabili di cui ancora oggi beneficia chi estrae petrolio e gas, materiali di cava e acqua di sorgenti, per tanti sussidi che ancora esistono per il consumo di fonti fossili.
Per quanto riguarda Sace e Cdp il problema non sono i soldi, ma cosa si va a finanziare che andrà cambiato rispetto ad oggi per accompagnare gli investimenti green.
Stessa cosa per la cooperazione bilaterale e multilaterale del nostro paese, che oggi continua ad essere senza bussola perfino rispetto ai paesi del mediterraneo e alle opportunità che ci sarebbero di trasferimento tecnologico e investimenti nelle rinnovabili, ma anche di aiuto per adattare territori e città agli impatti devastanti di cambiamenti climatici che stanno rendendo invivibili tante aree del Nord Africa e del Sahel.
Stessi obiettivi andranno applicati per la riforma della fiscalità ambientale che è andata crescendo e articolandosi nel tempo senza criteri.
Parliamo di un gettito rilevante, pari a quasi 60 miliardi di euro, che in larga parte non è legato a impatti ambientali o di emissioni di gas serra, e che solo per l’1 per cento è indirizzato a premiare investimenti di recupero o innovazione ambientale.
Le accise e l’Iva sui combustibili usati per i trasporti e per il riscaldamento degli edifici non sono legati alle emissioni di gas serra.
A parità di gettito per le casse pubbliche, basterebbe eliminare queste storture per rendere oggi competitive le alternative a emissioni zero: dalle rinnovabili alla mobilità elettrica, alle pompe di calore per il riscaldamento.
Si può fare di più, andando a recuperare risorse per ridurre il cuneo fiscale, ma intanto è bene chiudere la stagione dei bonus fiscali a pioggia, cresciuti senza limiti durante la pandemia, per spingere politiche finalizzate ad accelerare la transizione energetica.
Per esempio con un ambizioso programma di riqualificazione dell’edilizia residenziale pubblica per ridurre in modo drastico e strutturale i consumi energetici delle 700mila famiglie che abitano in quegli edifici, piuttosto che distribuire sconti sulle bollette per alleviare l’impatto dell’aumento del costo del gas.
Tenere assieme queste riforme permetterebbe di dare un segnale chiaro al mondo delle imprese sugli investimenti da spingere e di affrontare i rischi che la transizione climatica rischia di aprire per le fasce più deboli.
Non sarà facile, perché siamo in balia di aumenti dei prezzi di gas e benzina che incidono pesantemente sul consenso politico, ma solo con un confronto alto e obiettivi chiari potremo evitare la fuga dalle scelte per paura delle reazioni, lo spauracchio dei gilet gialli, la resistenza di rendite e interessi.
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