- La priorità è garantire i diritti dei bambini nati con Gpa. E invece, con il “reato universale” si vorrebbero mettere in carcere i loro genitori.
- E che dire della stigmatizzazione che colpirà i bambini nati da una pratica considerata criminale?
- Per reprimere il mercato globale dello sfruttamento, in cui la donna è oggetto di coercizione o di abuso, occorre applicare le leggi penali vigenti in materia di tratta di esseri umani, e purtroppo non lo si fa abbastanza.
Perché tanto accanimento contro la gestazione per altri (Gpa)? Nonostante sia già vietata in Italia, il governo vuole punirla come “reato universale”, in base a uno sgangherato disegno di legge ora approvato dalla Commissione Giustizia. L’approccio proibizionista non garantisce nessuna delle persone coinvolte in questa forma di riproduzione medicalmente assistita, alla quale si ricorre solo in mancanza di altre possibilità. Qual è l’alternativa? La priorità è garantire i diritti dei bambini nati con Gpa. E invece, con il “reato universale” si vorrebbero mettere in carcere i loro genitori.
E che dire della stigmatizzazione che colpirà i bambini nati da una pratica considerata criminale? Inoltre vanno analizzati i risvolti che riguardano l’autodeterminazione delle donne nel campo della riproduzione. È vero che alcune acconsentono alla Gpa in situazioni di grave disagio economico, e che possono essere oggetto di sfruttamento soprattutto da parte di intermediari criminali. Ma la Gpa non va demonizzata. Talvolta avviene in contesti parentali o amicali. Talvolta si instaura un rapporto affettivo tra i genitori sociali – eterosessuali o omosessuali o single – i bambini nati e la donna che ha portato avanti la gravidanza. Talvolta si tratta di una modalità di scambio che consente a tutte le persone coinvolte di realizzare i propri progetti di vita senza che si instaurino relazioni abusive.
Per reprimere il mercato globale dello sfruttamento, in cui la donna è oggetto di coercizione o di abuso, occorre applicare le leggi penali vigenti in materia di tratta di esseri umani, e purtroppo non lo si fa abbastanza. Allora perché proporre l’introduzione di un nuovo reato? L’intento del governo, assai probabilmente, è colpire le famiglie arcobaleno e negare l’autodeterminazione delle donne in campo riproduttivo. Quella parte del femminismo e della cultura di sinistra che si attesta su posizioni proibizioniste, a mio parere non ne valuta appieno le implicazioni.
Quando sono in gioco le decisioni riproduttive, il diritto deve intervenire in modo “leggero”, allo scopo di garantire la libertà delle donne di autodeterminarsi e scoraggiare pratiche abusive di sfruttamento. In materia di Gpa, una regolazione rispettosa dell’autodeterminazione deve garantire che, fino a un certo periodo dopo il parto, colei che ha portato avanti la gravidanza sia libera di ritornare sulle sue decisioni e di non affidare il bambino o la bambina agli aspiranti genitori.
Occorre dare priorità alla relazione instauratasi con la gravidanza, che deve prevalere rispetto a una scelta effettuata dalla madre portatrice molti mesi prima, in una situazione relazionale ed emotiva molto diversa. Questo tipo di legislazione non implica la subordinazione della donna interessata né a una regolazione statale proibizionista che la costringe alla illegalità, né alla logica ferrea del contratto a prestazioni corrispettive, che la obbliga a rispettare sempre gli accordi raggiunti prima della gravidanza. Al contrario, una legislazione che riconosca la legittimità della Gpa – ammessa in vari stati, prevalentemente nella forma altruistica – consente di proteggere i diritti e gli interessi di tutte le persone coinvolte.
L’alternativa proibizionista, al contrario, espone le donne a gravi conseguenze. Nell’illegalità, che il disegno di legge governativo rende ancora più cogente, le madri portatrici sono prive di qualunque protezione, e possono solo subire le decisioni di altri, siano essi intermediari o aspiranti genitori. Fatta eccezione per i casi di tratta, l’intervento del diritto penale provoca solo ulteriori rischi per le madri portatrici, già socialmente vulnerabili. Un diritto “leggero”, al contrario, può efficacemente proteggerle dagli abusi, nel rispetto della loro autodeterminazione.
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