Osservato dallo straboccare di esaltazione, proprio bella, delle strade e dalla favolosa piazza di Marrakesh, certo il passaggio ai quarti di finale del Marocco ai mondiali di calcio 2022 assume un’importanza inedita finora, e benvenuta.
Ma è quello che accade nella vita quotidiana delle stradine ormai iper-mappate e iper-masticate della Medina a dare l’indicazione definitiva del cambiamento bioestetico – non trovo parola migliore per dirlo – sancito dal trionfo generale qatariano: la presenza esagerata nei negozietti di migliaia di magliette tarocche delle maggiori squadre presenti al mondiale, tutte in bella mostra, quella nazionale locale ovviamente in primis.
La svolta
Che le strade di ogni parte del mondo abbiamo da tempo scelto lo sportswear è affermazione di vergognosa banalità, e che le divise delle grandi squadre planetarie siano molto velocemente entrate nell’abbigliamento cool specialmente femminile è un meraviglioso dato di fatto, ok. E uno potrebbe anche sottolineare a latere come le continue overstilizzazioni dell’immagine coordinata della Juventus non l’abbiamo certo salvata dal disastro raccontato da Stefano Feltri su queste pagine.
Altrettanto va aggiunta la pazzesca ricerca operata – e comunicata – dai giganti Nike e Adidas in questi anni e accelerata fino alla velocità della luce, quasi. Ma certo durante le partite di questi giorni (banalmente caratterizzate dalla presenza di elegantissimi uomini spesso di seconda generazione araba, africana e asiatica) abbiamo assistito ad un punto di svolta di questa mutazione, fortunatamente senza ritorno.
Oltre il proibito
Le maglie sono diventate terreno di decorazione straordinario: penso soprattutto a quella strabiliante dei portieri della nazionale giapponese, ai decori “nativi” del kit messicano, ma anche ai dettagli geometrici su collo e aderenze “tailor” perfette di quelle europee, e al design clamoroso delle maniche (letteralmente fiammeggianti nel caso del Belgio).
Penso agli scarpini contemporaneamente anatomici e prostetici, fatti di leghe polimeriche provenienti da laboratori a questo punto segreti. E ai guanti superaderenti e anatomicamente anfibi (“predator” non a caso si chiamano quelli di Adidas, da un po’ in commercio).
Per non parlare delle pazzesche maschere nere paracolpi – mozzafiato – comparse di colpo in campo, a metà tra il Batman di Nolan e il sadomaso medievaleggiante (Balenciaga, ecc ecc), lo stesso abbigliamento medievale negato in campo dagli assurdi editti del regime, per non parlare del bando dei cappellini e di ogni segnale arcobaleno Lgbtq+ che ha costretto i giocatori più intelligenti a indossare la fascia multicolore di protesta giusto sotto le nuove maniche.
Un mondo Marvel
Il mondo che da tutto questo salta fuori – e che è già tra noi – è presto detto, con una parola: Marvel, finalmente. Un mondo appunto meraviglioso che gli account Instagram del regime ha prima di tutto stilizzato all’interno dello stesso stadio di Doha, attraverso il geniale sistema di ledwall a strette strisce orizzontali che corrono lungo tutto il perimetro centrale a metà spalti, raddoppiati dallo stesso ovale a bordo campo, con gioco di effetti e cromatismi oggettivamente eleganti (magnificatu non a caso dall’astratta cerimonia inaugurale).
Con il perfetto logo a nastro bianco decorato che fa da perno centrale all’identità generale del mondiale, mai così perfetto nella ripresa per una visione essenzialmente da telefonino (magari amplificato dalla cassa portatile, che è poi il modo con cui tutta l’Africa vede le partite in ogni ora del giorno). Non solo.
Il reimbellimento generale della città – e a botte di nuovo cemento – ha creato un parco a tema persino pedonale che i post Instagram dipingono come meraviglia notturna, abbellito da un tendaggio lunghissimo e regolarmente ipercolorato e saturato, con tanto di bombastico megapalazzone a forma di mezzaluna rappresentato ovunque.
Cosi come lo sono tutte le figure 4d – anche ben ben commerciali –che corpose flotte di droni disegnano nel cielo sopra le teste dei neopedoni, ma solo quando il cielo non è riempito dalle continue esplosioni di pazzeschi fuochi d’artificio che non sembrano avere mai fine, ovviamente ipercromatici.
Vista così, la vita nuova che stiamo vivendo – anche solo guardando le partite – non è quella di prima, considerato poi che la lingua principale è l’arabo e certamente per la prima volta (così come il reclutamento, quasi lo dimenticavamo, di tifosi-comparsa prezzolati e che appunto si cambiano a comando le nuove meravigliose magliette, a seconda della partita).
Ed è una vita che ci piace e ci attrae come falene che si appiccicano al tessuto avanzato dalle geometrie cangianti e che ci portano ipotizzate/i dentro un caleidoscopio biologico nuovo e che non avevamo pienamente visto e indossato – a proposito di metaverso già ampiamente in atto nella realtà – e che non sappiamo bene che cazzo sia. Diritti civili a parte. Marocco compreso, sia chiaro.
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