- «I figli sono un dono. Una società senza figli è depressa». Così Papa Francesco agli Stati Generali della Natalità. Mi permetto, sommessamente, di far notare che il commento biblico è assai più articolato e, soprattutto, consapevole dei riflessi psicologici della genitorialità.
- Già dalla descrizione della nascita del primo figlio, Caino, il proverbiale realismo biblico appare ben consapevole dei sentimenti contraddittori che accompagnano la genitorialità.
- Si vogliono più figli? Si creino servizi e assistenza, in modo da distribuire equamente il peso che sempre affianca la gioia. Si facciano leggi che favoriscono le adozioni. e si sfruttino i metodi di concepimento che la scienza ci offre. Non permettiamo che quel grande testo di emancipazione sociale che è la Bibbia si metta al servizio delle tendenze regressive dell’oggi.
«I figli sono un dono. Una società senza figli è depressa». Lo ha detto papa Francesco agli Stati generali della natalità, alla presenza di Giorgia Meloni. Al netto dell’ormai provata consuetudine che spinge spesso Bergoglio a usare parole ed espressioni comprensibili a tutti, mi permetto, sommessamente, di far notare che il commento biblico è assai più articolato e, soprattutto, consapevole dei riflessi psicologici della genitorialità.
Secondo la narrazione biblica, il primo figlio della storia umana è, come noto, Caino, la cui nascita è descritta in Genesi 4, 1: “E Adamo conobbe Eva, sua moglie, questa rimase incinta e partorì Caino e disse: «Ho acquistato un uomo col favore dell’Eterno»”.
Un atto egoistico
Spontaneamente siamo tutti portati a pensare che qui si sia di fronte ad una mamma che ringrazia il Signore per aver finalmente ricevuto un figlio. L’«uomo» di cui si parla nel verso sarebbe, dunque, Caino.
C’è, però, tutta un’altra tradizione di commento che lo identifica con Adamo. A conferma di questa lettura almeno due elementi. Primo: il nome, Caino. Viene ricondotto al verbo ebraico liqnot, acquistare. Secondo: tutto il verso è declinato al femminile. Caino è il nome che Eva ha attribuito al figlio, non è stato stabilito dalla coppia.
Allora si capisce perché l’«uomo» sia Adamo: la mamma usa il figlio per garantirsi la presenza del marito al suo fianco dopo che il loro rapporto era entrato in crisi a seguito della mangiata del frutto proibito. In termini psicoanalitici si direbbe che Caino è vittima di un desiderio incestuoso (castrante) da parte della madre.
Naturalmente, questo inciderà molto su quei sentimenti di invidia e gelosia che porteranno all’omicidio di Abele, che potrà godere di una libertà interdetta al fratello maggiore. E, sempre per la narrazione biblica, lo stesso si ripeterà con Isacco e Ismaele, Giacobbe e Esaù, Giuseppe e i suoi fratelli.
Insomma, per come lo descrive la Torah, l’atto del generare non poggia affatto su sentimenti altruistici, lettura davvero figlia di un cristianesimo edulcorato, ma su esigenze di rassicurazione psicologica, o, come sarà chiaro per le matriarche, di riconoscimento sociale. In una parola, si diventa genitori, anzitutto per un atto egoistico.
Tendenze regressive
Di qui, anche questo è descritto con spietato realismo dalla Bibbia, l’amaro scontro con la realtà, che smentisce sempre le aspettative della fantasia. Argomenti tabù fino alla nascita della psicoanalisi dell’ebreo Sigmund Freud (per i rapporti fra Freud e l’ebraismo si veda il recente testo di Anna Barbagallo edito da Belforte, La voce dell’altro. Ebraismo e psicoanalisi), e di tutta la cultura che ne è derivata. Basti solo vedere Persona, di Ingmar Bergman.
Con ciò non si vuole certo negare il problema epocale della denatalità, che, tra l’altro, a sentire i demografi, non andrebbe affrontato in un’ottica di competizione nazionalistica per non ritrovarci un domani in dieci miliardi di persone senza risorse sufficienti e dover promulgare aberranti leggi sul figlio unico anche alle nostre latitudini.
Non si vuole, però, nemmeno riproporre un modello genitoriale che si scaricava, poi, sulle spalle della donna, a cui, oltre al carico sociale che subiva, non poteva essere concesso nemmeno un secondo di smarrimento di fronte a quella novità perturbante che è la nascita di un figlio.
Come si superano entrambi i problemi? Diremmo, biblicamente: attraverso pratiche di giustizia sociale che mirino a correggere le asimmetrie naturali dell’origine dei tempi. Si vogliono più figli? Si creino asili, servizi, assistenza, in modo da distribuire equamente il peso che sempre affianca la gioia.
Si facciano leggi che favoriscono le adozioni, anche se smentiscono i modelli tradizionali. Per le coppie dello stesso sesso, per i single. Si favoriscano i metodi di concepimento che la scienza ci offre, depurandoli dalle storture che affiancano ogni comportamento umano. E non si metta quel grande testo di emancipazione sociale che è la Bibbia al servizio delle tendenze regressive dell’oggi. Not in my name.
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