- La morte nei campi per caldo e sfinimento di Camara Fantamadi, ragazzo del Mali di appena 27 anni, non è solo la morte di uno straniero senza diritti, trattato da schiavo e in preda alle agromafie che controllano il lavoro dequalificato e sottopagato.
- È anche il futuro che aspetta tutti noi se non usciamo dall’ambiguità in cui siamo piombati con l’inveterata abitudine italiana al lavoro nero e al sommerso.
- Con cinque milioni di posti a rischio, anche gli italiani sono costretti ad accettare condizioni capestro. La cattiva abitudine al lavoro nero deprime tutta l’economia e ci impoverisce.
La morte nei campi per caldo e sfinimento di Camara Fantamadi, ragazzo del Mali di appena 27 anni, non è solo la morte di uno straniero senza diritti, trattato da schiavo e in preda alle agromafie che controllano il lavoro dequalificato e sottopagato. È anche il futuro che aspetta tutti noi se non usciamo dall’ambiguità in cui siamo piombati con l’inveterata abitudine italiana al lavoro nero e al sommerso. Sottopagati e sfruttati fino alla morte – è purtroppo il caso di dirlo - sono gli stranieri che lavorano nei campi, nell’edilizia e negli altri settori dove regna il sommerso. Ma lo sono anche gli italiani di ogni età, obbligati ad accettare condizioni capestro (talvolta molto simili a quelle imposte agli stranieri) pur di lavorare. È questa la situazione in un paese che si è abituato all’illegalità diffusa nel mercato del lavoro. La colpa è di tutti: degli imprenditori in primis che non mettono ordine in casa loro con chi usa il nero; delle istituzioni che se ne lavano le mani; dei sindacati che tollerano ecc.
L’Italia del lavoro sommerso
Ma soprattutto è responsabilità tutta italiana: sappiamo quanto l’idea del lavoro sommerso, non dichiarato, senza fattura, senza contratto, con il fuoribusta e così via, è considerato normale e talvolta quasi una virtù perché sarebbe un modo per pagare meno tasse. Ma restando nell’illegalità ci autoinfliggiamo un danno che si riverbera su tutti. Gli operatori del turismo si lamentano perché non trovano bagnini, operatori da spiaggia, camerieri e via discorrendo? Il fatto è che sfruttano con paghe bassissime e senza contratti: se alzassero i salari troverebbero. La scusa generalmente addotta è che le tasse sono troppe ma è noto che si fa di tutto per non dichiararle. La prova c’è stata durante la pandemia: molti del settore turismo e ristorazione non hanno potuto avere i ristori perché non avevano nessuna prova per giustificare i veri guadagni degli anni precedenti, quasi tutti in nero. Ipocrita anche lamentarsi del reddito di cittadinanza la cui istituzione ha creato un benchmark: una specie di salario minimo sui generis sotto il quale ora non si può scendere. Il reddito sarebbe da allargare in qualche forma anche agli stranieri immigrati: in questa maniera il sommerso, sarebbe costretto ad emergere.
Una questione collettiva
Il risultato di migliori paghe e contratti legali per tutti, stranieri e non, avrebbe come risultato di innalzare tutta l’economia: aumento dei salari significa aumento dei prezzi. Tutti se ne avvantaggerebbero. Tenere l’economia in nero, nel sommerso governato dalle mafie, deprime il mercato ed impoverisce tutti. La morte di Camara è il tragico segnale che il mercato del lavoro italiano si immiserisce per tutti, anzi uccide, iniziando dai più deboli. Guardare agli ultimi come Camara non è buonismo: è saggezza e lungimiranza perché ciò che sta accadendo oggi agli stranieri ridotti a schiavi, accadrà prima o poi a tutti. In una stagione covid e post covid, in cui in Italia sono a rischio circa 5 milioni di posti di lavoro, la strada perversa del lavoro nero, sommerso, malpagato e servile è ormai un destino che può toccare a tutti gli italiani. Il governo deve fare di tutto per battere il lavoro sommerso, ad ogni costo.
© Riproduzione riservata