- Il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari non è confermativo, ma al massimo oppositivo.
- Il rapporto tra Camera e Senato non è “perfetto”, ma “paritario”, la riduzione del numero dei componenti non migliorerebbe la situazione.
- Non è affatto vero che un parlamento più piccolo renderebbe inevitabile un sistema elettorale proporzionale puro (anche sulla purezza ci sono idee confuse).
Gli aggettivi servono a chiarire e precisare significati e contenuti dei termini utilizzati. Vanno usati con cautela, senza esagerazioni e distorsioni. Le definizioni di un fenomeno debbono soddisfare esigenze di specificazione e di comprensione, ma possono anche mirare a influenzare le preferenze e le valutazioni.La politica si configura anche, molto spesso, come una modalità comunicazione orientata a persuadere. Tuttavia, non da oggi, sosterrebbe George Orwell, molti politici e operatori dei media fanno della comunicazione politica una modalità di manipolazione. Orwell sarebbe stupito dai brandelli di neo-lingua che circolano in Italia non sfidati da nessuno. Mi limiterò ad alcuni esempi, ma la casistica è molto più ampia.
Non sta scritto da nessuna parte nella Costituzione che il referendum costituzionale è confermativo. Comunque, l’aggettivo non può riferirsi a quel tipo di referendum in quanto tale, ma al suo esito. Qualora la maggioranza dei votanti (non esiste quorum) si esprima per il Sì, la revisione costituzionale approvata dai parlamentari sarà confermata. Se prevalgono i contrari con il loro no, la revisione sarà bocciata. L’esito, suggerirei, deve essere definito oppositivo (oppure, in subordine, avversativo). Continuare a definire “confermativo” il referendum costituzionale è una manipolazione che trasmette agli elettori l’idea che si tratta di confermare una revisione, non di valutarla e, eventualmente, respingerla.
Ridurre il numero dei parlamentari (espressione che ha pudicamente sostituito “tagliare le poltrone”) è essenziale, si dice, non soltanto per risparmiare, ma per migliorare il funzionamento del bicameralismo perfetto. Anche questo aggettivo è errato. Se guardiamo alla struttura del bicameralismo italiano l’aggettivo corretto è “paritario”. Le due camere hanno gli stessi poteri, a cominciare dal dare e togliere la fiducia al governo, e svolgono gli stessi compiti: rappresentanza politica, controllo sull’operato del governo, conciliazione di interessi, compartecipazione ai procedimenti legislativi. Poi, è quantomeno paradossale che l’aggettivo perfetto venga utilizzato da chi vuole riformare il bicameralismo italiano. Per renderlo imperfetto? Nel frattempo, i ritocchi aggiuntivi che si preannunciano sono marginali, ma renderebbero il bicameralismo italiano ancora meno differenziato e più paritario.
Ridotti di numero i parlamentari, un po’ tutti i sedicenti riformatori annunciano l’imprescindibile necessità di una legge elettorale proporzionale pura. Poi i dirigenti di partito, i parlamentari e troppi commentatori subito aggiungono che dovranno essere introdotti una soglia percentuale di accesso al parlamento e un diritto di tribuna (che non esiste da nessuna parte al mondo: genio italico). È lampante che entrambe le disposizioni rendono il proporzionale piuttosto impuro. D’altronde, un po’ in tutti i paesi che utilizzano leggi elettorali proporzionali (a eccezione dell’Olanda e di Israele) si fa ricorso a una soglia d’accesso (o esclusione) per quantomeno contenere la frammentazione del sistema dei partiti e della rappresentanza parlamentare.
Comunque, approvata la riduzione dei parlamentari non è affatto detto che il proporzionale sia una soluzione obbligata. Gran Bretagna e Francia utilizzano leggi elettorali maggioritarie, fra loro diverse, in collegi uninominali. Lo stesso fanno l’Australia: 25 milioni di abitanti, Camera bassa 150 rappresentanti; e il Canada: 37 milioni di abitanti, Camera bassa 308 rappresentanti. Quello che conta, però, è l’ampiezza con riferimento agli elettori dei collegi uninominali.
Lineare è bello (?). Chi può opporsi a un intervento definito e giustificato come lineare ovvero semplice, uniforme, limpido, essenziale? Tagliare le poltrone con una grossa accetta risolve qualche problema di funzionamento oppure sarebbe più opportuno e più efficace utilizzare il bisturi per intervenire in maniera delicata sulle criticità di una struttura tanto complessa come il/un parlamento? Dove mai e quando mai i parlamenti e le Costituzioni sono state riformate con tagli “lineari”?
In verità, nel passato Gianfranco Miglio, autorevole professore di Storia delle istituzioni politiche e di Scienza politica propose più drasticamente di lanciare una sostanziosa revisione costituzionale facendo uno sbrego alla Costituzione. Il resto avrebbe fatto seguito. Il Sì servirebbe anche rompere l’immobilismo, fare una breccia nella Costituzione alla quale, ovviamente, ma anche no, seguirà una nuova costruzione. Lineare!
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