- Attraverso i nostri comportamenti, trasmettiamo alla nostra discendenza un’eredità immateriale: ciò che è normale, giusto, buono, bello, come ci si comporta e come si parla.
- Oggi pare che ogni persona porti con sé qualche tratto marcatamente asociale, legato a un trauma o a una strutturale maleducazione. Come se stessimo assistendo al fallimento su larga scala delle famiglie nella loro funzione essenziale di socializzazione.
- D’altronde come stupirsi? I genitori moderni da almeno tre generazioni sono abbandonati a loro stessi, soli davanti al loro compito educativo, in un mondo che li ha convinti a buttare via i valori tradizionali senza dar loro in cambio nulla di chiaramente applicabile.
Nella propria discendenza, i genitori osservano con soddisfazione la manifestazione di comuni tratti di carattere, inclinazioni, espressioni, modi di fare. Come in uno specchio leggermente deformante, l’homunculus cui abbiamo dato vita è anche il nostro döppelganger.
E d’altra parte non c’è nulla di più spaventoso di quello specchio, che mostra come assieme ai nostri geni abbiamo trasmesso pure i difetti; quelli contro cui combattiamo ogni giorno e che ogni giorno ci sconfiggono, quelle debolezze e fragilità che noi stessi abbiano ricevuto in eredità.
Lessico familiare
Com’è potuto accadere? Se mia figlia si scotta al sole o se dovrà portare gli occhiali, la colpa è del Dna che abbiamo immesso nel crogiolo; ma se è timida, taciturna e intransigente, forse un giorno anche un po’ paranoica, temo che l’ereditarietà abbia scelto una diversa strada, quella del (cattivo) esempio.
Il Golem prende vita soltanto scrivendo sulla sua fronte un lessico familiare. Senza nemmeno accorgermene – attraverso l’accumulazione dei miei comportamenti, delle mie parole e mezze-parole, dei “memi” più che dei geni – mi sono fatto agente del contagio di un antico ceppo familiare.
Decenni di nevrosi cadono addosso a mia figlia come uno scaffale disordinato. Ho ricostruito le condizioni ambientali simili a quelle in cui sono cresciuto io, realizzando quella parte asessuata - mimetica e memetica, dunque - della riproduzione che è forse la più importante per definire quel che sarà la persona.
Forse abbiamo sottovalutato la famiglia, in questi ultimi due secoli. In principio era il verbo kantiano dell’autonomia, secondo cui ogni individuo nasce libero di scegliere il proprio destino, estraendosi dal contesto di provenienza. Poi è arrivata l’ondata identitaria, che recuperando lo storicismo ottocentesco invece descrive le persone come pesantemente determinate dalla loro etnia, dalla loro cultura, o anche solo dalla loro classe. Passando da un estremo all’altro abbiamo dimenticato qual è la prima istituzione di socializzazione: mamma e papà.
Nessuno è normale
Altro che autonomia individuale: ognuno di noi viene “programmato” dalle differenti istituzioni che si prendono carico della nostra educazione, come la scuola e l’università. Ma è nel contesto familiare che viene innanzitutto definito – salvo poi essere rinegoziato – ciò che è normale, giusto, buono, bello, come ci si comporta e come si parla; addirittura come si pensa. Così ogni famiglia consegna al mondo una persona diversa dalle altre.
Questa diversità è spesso fonte di conflitto, perché se ci avete fatto caso nella nostra società non esistono persone “normali”. Forse in passato i processi di riproduzione sociale erano più rigidi, le persone più conformi ai modelli dettati dalla loro comunità, le differenze meno marcate.
Oggi pare invece che ogni persona porti con sé qualche tratto marcatamente asociale, legato a un trauma o a una strutturale “maleducazione”. Come se stessimo assistendo al fallimento su larga scala delle famiglie nella loro funzione essenziale di socializzazione. Le nevrosi sembrano essere l’unica cosa che mamma e papà sono in grado di trasmettere.
D’altronde come stupirsi? I genitori moderni da almeno tre generazioni sono abbandonati a loro stessi, soli davanti al loro compito educativo, in un mondo che li ha convinti a buttare via i valori tradizionali senza dar loro in cambio nulla di chiaramente applicabile.
Basta scendere in metropolitana per constatare, dal numero di persone che si dispongono davanti alla porta cercando di entrare senza prima lasciar uscire gli altri, che la società moderna è ormai ridotta a una giungla perché nessuno è stato in grado di trasmettere dei codici di comportamento condivisi.
Spezzare la maledizione
Nella vita ho realizzato almeno un traguardo, non scontato, del quale non perdo occasione di felicitarmi: quello di non essere cresciuto totalmente matto. Per quanto mi accorga di peggiorare di anno in anno, e di assomigliare sempre di più ai modelli dai quali vorrei sfuggire. Ma come si evita di essere un cattivo modello per altri? Bisognerebbe evitare di essere sé stessi.
Consoliamoci pensando che i nostri difetti sono anche le nostre forze. Tanto più in una società come quella contemporanea, nella quale pare che a essere premiate siano proprio le nevrosi: i prepotenti si fanno strada facilmente mentre ai monomaniaci taciturni rimane il privilegio di eccellere in qualche professione creativa. Il difficile sarà incastrare tutte queste nevrosi per evitare che salti tutto.
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