Se la senatrice Bigon dev’essere libera di esprimere i valori cui crede in coscienza e di farlo in pubblico, anzi nell’esercizio dell’altissima funzione di rappresentante dei cittadini, deve poterlo fare anche chi, come Dj Fabo e molti altri, ritiene a un certo punto di non voler continuare a vivere
Che cosa comporta la cosiddetta “libertà di coscienza”? E qual è la sfera di questa libertà, le materie a cui si applica? Anche questa domanda fa parte della “questione cattolica”, cioè della riflessione sul ruolo e lo spazio dei valori cattolici nella vita del Paese e in partiti plurali come il Pd. La consigliera regionale del Pd Bigon ha impedito l’approvazione al consiglio regionale del Veneto di una norma che avrebbe applicato la sentenza della Corte Costituzionale del 2019.
In quella sentenza, i giudici della Consulta concedono l’accesso al suicidio assistito a chi lo scelga in piena libertà e capacità, se tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da malattie irreversibili, che causino sofferenze ritenute intollerabili. Casi come quello di Bigon potrebbero moltiplicarsi: l’associazione Coscioni ha presentato proposte simili in tutte le regioni italiane, e la discussione di una regolamentazione nazionale in Parlamento non sembra probabile, almeno non con gli attuali rapporti di forza.
Bigon ha esercitato la sua libertà di coscienza, si è detto, e questa libertà prevale sulla disciplina di partito. Ne deriva che c’è una libertà, la libertà di coscienza, ma non c’è l’altra, la libertà di decidere come e quando disporre della propria vita. Liberi di avere una coscienza, cioè una visione del valore della vita. Ma non liberi di applicarla, cioè di decidere quando la nostra vita abbia o non abbia valore. La contraddizione è evidente.
Pluralismo di visioni
Se Bigon dev’essere libera di esprimere i valori cui crede in coscienza e di farlo in pubblico, anzi nell’esercizio dell’altissima funzione di rappresentante dei cittadini, deve poterlo fare anche chi, come Dj Fabo e molti altri, ritiene a un certo punto di non voler continuare a vivere. Se i cattolici chiedono libertà di esprimere i propri valori in pubblico, come sostenuto da Mario Giro su questo giornale, la stessa libertà debbono lasciarla anche agli altri.
Il pluralismo delle visioni del mondo presente nel nostro e in altri paesi richiede che libertà individuali in contrasto si concilino: la libertà di chi ritiene che la vita non disponibile al volere di chi la vive, perché dono di un Creatore, deve convivere con quella di chi ritiene di essere padrone unico della propria vita.
È giusto che i cattolici siano liberi di affermare i propri valori e di difenderli. A patto che lascino agli altri la possibilità di fare altrettanto e alla politica il compito di rendere possibile la convivenza fra visioni diverse della vita e del suo senso. In un partito plurale e attento alle diversità come il Pd, i cattolici dovrebbero essere i custodi primi e i garanti più strenui del pluralismo.
C’è un’altra possibilità, però. È possibile che il problema dei cattolici in politica non sia la libertà di coscienza, ma il valore oggettivo della vita indisponibile. È possibile che, come di nuovo sostiene Mario Giro, il punto sia che la vita ha un valore che va al di là della libertà di autodeterminazione.
Se le cose stessero così, la questione cattolica non sarebbe affatto un problema di libertà di coscienza e di rappresentanza di valori. Il problema sarebbe affermare valori che si ritengono gli unici giusti oggettivamente e tali da dover prevalere su altri.
Il dilemma dei cattolici
Non c’è nulla di male. Anzi, sarebbe una condotta molto più chiara che appellarsi ipocritamente a una libertà di coscienza che non si vuole poi concedere agli altri. Però poi si dovrebbe essere coerenti e andare sino in fondo: a chi non ritiene che la vita sia un dono indisponibile del Creatore si dovrebbe spiegare che sbaglia, che non si merita il diritto di sbagliare, e anzi che è giusto impedirgli di agire in base alle sue convinzioni.
Si dovrebbe, per esempio, essere disposti a dire che il diritto di autodeterminazione che secondo la Corte Costituzionale prevale sulla protezione della vita non sia un vero diritto: i giudici della Consulta hanno compiuto un errore teorico e morale.
Sarebbe un contributo alla chiarezza, come ho detto. Anche se non sarebbe certo un contributo alla partecipazione dei cattolici a partiti plurali e liberali. Dentro e fuori il Pd, e nel paese, i cattolici hanno un dilemma, insomma: o esercitare insieme a tutti gli altri la libertà, e accettarne il prezzo, o cercare di imporre a tutti gli altri i loro valori, rinunciando alla libertà di tutti.
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