- Secondo Calenda, “le cose da fare non sono di destra o di sinistra, sono di buon senso”. La catastrofe della sanità in Lombardia mostra invece che esistono ancora due modelli ben distinti.
- Il centrodestra ha sottofinanziato e depotenziato la sanità territoriale lombarda. In Lombardia ogni medico di base ha in cura circa 1400 assistiti. Una cifra impressionante che peggiorerà nei prossimi anni.
- La sinistra non deve avere paura di ricordare che meno tasse, e soprattutto meno tasse per i ricchi (la flat tax di Salvini e Berlusconi), significa una scuola peggiore, un sistema sanitario peggiore, trasporti peggiori.
Secondo Carlo Calenda, «le cose da fare non sono di destra o di sinistra, sono semplicemente di buon senso». Le ultime tornate elettorali in Francia, in Spagna, e perfino negli Stati Uniti, dimostrano però che gli elettori premiano chi ha il coraggio di offrire visioni del mondo diverse ed opposte. Chi ambisce ad essere alternativo alla destra di Salvini e Meloni non deve temere di proporre soluzioni radicalmente differenti.
Il successo elettorale di Jean-Luc Mélenchon in Francia, così come quello della sinistra spagnola, non sono avvenuti conquistando il voto di elettori di centrodestra, ma mobilitando e portando al voto giovani nonché ex elettori di sinistra che si astenevano ormai da anni.
Ma su quali temi si può e si deve fare chiarezza, distinguendo nettamente la destra e la sinistra? Prendiamo ad esempio la sanità. Una visione del mondo di sinistra crede nel servizio sanitario pubblico e universale, e il più possibile gratuito.
Gratuito significa finanziato dalla fiscalità generale, ovvero dalle imposte. E siccome secondo la Costituzione la fiscalità dovrebbe essere progressiva (l'aliquota di imposizione deve crescere in modo più che proporzionale rispetto al reddito), ne consegue che chi ha di più contribuisce a finanziare anche la sanità di chi ha di meno.
Una visione del mondo di destra crede invece che il pubblico debba assicurare esclusivamente servizi di base, mentre il resto debba essere a pagamento. Chi può permettersi cure dispendiose le avrà. Chi non può, dovrà invece accontentarsi di un servizio pubblico sotto-finanziato, di lunghe liste d’attesa, di personale ridotto al minimo.
La catastrofe della sanità lombarda
Per chi crede che queste siano semplificazioni, andiamo a vedere che cosa è successo in Lombardia negli ultimi trent’anni. Tutto è cominciato grazie alla sciagurata riforma del titolo quinto della Costituzione, che attribuiva alle regioni la competenza sulla sanità.
Si tratta peraltro, guarda caso, di un esempio di riforma voluta dal centrosinistra (all’epoca con Prodi, D’Alema e Amato) come tentativo di inseguire la destra leghista sui suoi temi. In seguito, in trent’anni di governo di destra, sotto la presidenza di Roberto Formigoni prima, e di Roberto Maroni e Attilio Fontana poi, in Lombardia il controllo del privato sulla sanità è passato da zero al 50 per cento. Nelle Rsa, la percentuale è del 90 per cento.
Si tratta di un mercato da 10 miliardi di euro all’anno, in cui il privato si è accaparrato le prestazioni meno costose e più redditizie, lasciando gestire al pubblico le prestazioni dove non si possono fare profitti adeguati.
Da questo punto di vista, è emblematica la scelta di sotto-finanziare e depotenziare la sanità territoriale. Un esito di questa scelta è risultato evidente durante la pandemia da Covid-19, quando la mancanza di medici di base si è tradotta in una vera emergenza che ha condotto all’aggravamento delle condizioni di salute di migliaia di cittadini.
Secondo i dati del ministero della Salute, in Lombardia nel 2019 c’era in media un medico di base ogni 1400 assistiti. Se poi andiamo a guardare nel dettaglio, scopriamo che 3700 dei 6000 medici di base lombardi avevano in cura più di 1500 assistiti. Peggio della Lombardia, in Italia, fa solo il Trentino-Alto Adige, con una media di di 1450 assistiti per ogni medico di base. E dire che la Lombardia è la regione più ricca d’Italia.
Queste cifre impressionanti significano in pratica che i medici non riescono ad effettuare visite a domicilio, e che in molti si trovano a seguire pazienti di cui non sanno nulla, di cui non conoscono la storia clinica, familiare, personale.
I medici sono sollecitati giorno e notte per certificati, visite, prescrizioni di farmaci. E tutto questo ha un impatto catastrofico sulla salute dei cittadini.
Questo depotenziamento della medicina del territorio, che è stato possibile toccare con mano durante la crisi, non farà altro che peggiorare nei prossimi anni. Si prevede che entro il 2028 in Lombardia prenderanno servizio mille nuovi medici di medicina generale, mentre saranno quattromila quelli che andranno in pensione.
Se non si interviene, si passerà dunque nel giro di sei anni a una media di un medico ogni 3.000 abitanti. Una situazione insostenibile.
Nel frattempo esami di laboratorio, radiografie, ecografie, visite specialistiche, vengono effettuati sempre più a pagamento, arricchendo i privati a scapito dei cittadini.
Chiunque viva in Lombardia sa che per questo tipo di prestazioni, effettuate presso operatori convenzionati con il pubblico, ci sono lunghissime liste d’attesa, comodamente evitabili se disposti a pagare.
Questo è il modello di sanità della destra lombarda, messo in piedi in trent’anni di governo berlusconiano e leghista. Un modello tutt’altro che efficiente, dove ci hanno perso in molti e guadagnato in pochissimi.
Questo è il modello della cosiddetta autonomia differenziata, che si trova nel programma della Lega ma che è fortemente sostenuta anche da Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia-Romagna e candidato in pectore alla segreteria del Pd nel post-elezioni.
Questa situazione si inserisce peraltro in un contesto nazionale tutt’altro che roseo. Secondo l’Ocse, la spesa sanitaria pubblica sul Pil era in Italia del 9,6 per cento nel 2020, contro il 12,2 per cento della Francia e il 12,8 per cento della Germania.
Oltre alla medicina territoriale, sono stati in realtà sacrificati anche gli ospedali, con una drastica diminuzione dei posti letto: 3 per 1000 abitanti nel 2020, contro gli 8 della Germania e i 6 della Francia.
Destra e sinistra
Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, con la loro flat tax, vogliono ridurre le tasse ai ricchi. Da un punto di vista puramente contabile, questo significa diminuire la spesa pubblica, a meno che non si voglia aumentare il debito, prospettiva negata dalla destra.
La sinistra, qualunque cosa significhi, non dovrebbe avere paura di ricordare che meno tasse, e soprattutto meno tasse per i ricchi, significa meno scuola, meno servizi, meno sanità. Una scuola peggiore, un sistema sanitario peggiore, trasporti peggiori.
La sinistra, qualunque cosa significhi, dovrebbe opporsi esplicitamente a questa prospettiva. Proponendo ad esempio un massiccio piano di assunzioni nella sanità, sia territoriale che ospedaliera. E proponendo di tornare indietro rispetto all’autonomia delle regioni in tema di sanità, che ha dimostrato tutta la sua inadeguatezza.
Bisognerebbe avere il coraggio di togliere dalle mani dei privati e delle regioni la salute pubblica, e ridarla allo Stato. Chi avrà la forza di farlo?
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