- Il quadro economico è migliore di quello che il governo stimava in primavera, quindi si può spendere ancora.
- Ai partiti non sfugge l’implicazione politica di questo atteggiamento di politica economica.
- Ci saranno molti più soldi da spendere in un anno, il 2022, che si annuncia elettorale o pre-elettorale, a seconda che Mario Draghi vada al Quirinale a febbraio e dunque ci sia un voto anticipato o che la legislatura arrivi alla sua naturale conclusione nel 2023.
Il quadro economico è migliore di quello che il governo stimava in primavera, quindi si può spendere ancora. Questo è il senso della Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, il primo documento ufficiale che imposta la politica di bilancio del prossimo anno, in vista della legge di Bilancio.
La crescita del Pil dell’Italia nel 2021 sarà del 6 per cento, invece del 4,5 per cento. «C’è fiducia ora tra gli italiani e dal resto del mondo verso l’Italia», dice il presidente del Consiglio Mario Draghi in conferenza stampa.
Forte di questa crescita insperata, dovuta al rimbalzo dell’economia mondiale e alle misure di stimolo in reazione alla pandemia, Draghi avverte che bisogna usare le risorse per una crescita «equa e sostenibile» ma soprattutto «duratura», cioè che permetta all’Italia correre più di quanto non facesse prima del Covid.
L’impatto politico
Ai partiti non sfugge l’implicazione politica di questo atteggiamento di politica economica: ci saranno molti più soldi da spendere in un anno, il 2022, che si annuncia elettorale o pre-elettorale, a seconda che Mario Draghi vada al Quirinale a febbraio e dunque ci sia un voto anticipato o che la legislatura arrivi alla sua naturale conclusione nel 2023.
Nel documento della Nadef si legge che la combinazione tra Pil più alto delle attese e deficit più contenuto dei timori consente di «liberare un ammontare di risorse pari a circa 1,2 punti percentuali del Pil nel 2022, 1,5 punti nel 2023 e 1,2 punti nel 2024».
Miracoli del trovarsi con una crescita elevata, che corre più degli interessi sul debito accumulato, una situazione che l’Italia non sperimentava da molto tempo. Pur mantenendo una politica espansiva, l’indebitamento netto scenderà dal 9,4 per cento del Pil nel 2021 al 5,6 per cento nel 2022.
Il governo Draghi deve ringraziare molto la Banca centrale europea, grazie agli acquisti di titoli di Stato italiani, la spesa per interessi sul debito pubblico sta scendendo, dal 3,5 per cento del 2020 al 3,4 del 2021 per poi crollare a 2,9 nel 2022, 2,7 nel 2023 e 2,5 nel 2024.
Invece che usare la crescita aggiuntiva soltanto per ridurre ulteriormente il debito (previsto a fine 2024 comunque 12 punti percentuali sopra il livello pre-Covid), il governo vuole spenderla subito (e va ricordato che stiamo parlando comunque di risorse a debito): si tratta di circa 18 miliardi nel 2022 e oltre 22 nel 2023.
Soldi che vanno ad aggiungersi a quelli del Pnrr e a quelli del fondo parallelo (30 miliardi complessivi) voluto dai partiti per i progetti non approvati dalla Commissione.
Dove spendere
Una parte dei soldi che si rendono disponibili grazie al quadro macroeconomico, si legge nel documento del governo, andrà per rafforzare il servizio sanitario nazionale, un po’ trascurato dalla ripartizione dei fondi del Pnrr.
Altri fondi andranno “ai rinnovi dei contratti pubblici” e ad altre voci non coperte dalla legislazione vigente, tra cui le “missioni di pace” (che poi sono militari) e il prolungamento dei fondi di garanzia per le piccole e medie imprese.
Ci dovrebbe poi essere anche la misura più attesa dal settore edilizio e da molte famiglie, cioè la proroga del superbonus al 110 per cento per le ristrutturazioni con efficientamento energetico, nella Nadef c’è la promessa, nella legge di Bilancio arriveranno i dettagli.
La lista delle cose che assorbiranno risorse è in realtà molto lunga, e molti dettagli mancano a cominciare dalla riforma fiscale, il cui costo è ancora ignoto (si parla di almeno 10 miliardi).
Ma per il momento è chiaro il messaggio politico che arriva da queste scelte di politica economica: è ancora «il momento di dare», invece che quello di chiedere, come aveva promesso all’inizio del suo mandato.
Il futuro di Draghi
All’inevitabile domanda dei giornalisti sul suo futuro, se dopo gennaio resterà a palazzo Chigi o andrà al Quirinale al posto di Sergio Mattarella, Draghi ha chiarito che «la risposta è sempre la stessa: primo, è abbastanza offensivo nei confronti del presidente della Repubblica in carica cominciare a pensare in questo modo. E poi io non sono la persona giusta a cui fare questa domanda, decide il parlamento».
I numeri della Nadef sono compatibili con entrambi gli scenari: garantiscono ai partiti di avere risorse da spendere nel caso si vada a elezioni nel corso del 2022 dopo il passaggio di Draghi al Quirinale, ma assicurano anche che l’atteggiamento espansivo della politica economica durerà almeno fino alla scadenza naturale della legislatura.
Draghi non lascia indizi chiari, ma soprattutto non lascia nessuno scontento. Risultato utile in tutti gli scenari.
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