Esistono varie teorie sui fattori che motivano le persone. Una è quella di David McClelland. Per lui gli umani sono motivati da tre diversi tipi di bisogno: di riuscire, di affiliazione e di potere
Un uomo sta facendo una dieta, e in un pomeriggio d’estate me lo racconta. Io mi affretto a dirgli che non mi pare ne abbia bisogno, lui risponde che invece sì, ne ha bisogno eccome, deve dimagrire. Dice che a meno che io non abbia le fette di salame sugli occhi, dovrei essere in grado di vedere la sua grassezza.
Io non commento, perché quando le persone iniziano a parlare del proprio corpo preferisco farmi da parte: è un terreno troppo difficile. Cambio angolatura del discorso e gli chiedo cosa lo motivi a fare una dieta, quale sia stata la causa scatenante della sua scelta di farne una.
Il perché di una dieta
Le motivazioni delle diete sono sempre interessanti: dal momento che si tratta di affrontare un periodo di privazioni e di cambiamento drastico delle abitudini (tutte cose contrarie alla natura umana) le motivazioni delle diete raccontano qualcosa di chi siamo.
Lui inizialmente sta sul vago, spiega che si sente appesantito, che lo fa per la salute, che bisogna pensare a non arrivare fuori forma alla vecchiaia.
Poi, finalmente, la verità: gli piaceva una donna, l’ha corteggiata, lei l’ha rifiutato. Lui ha accettato il rifiuto senza insistere, ma ha capito benissimo che il motivo era la mancanza di attrazione fisica, e sebbene la donna non abbia mai commentato sulla sua presunta grassezza, lui ha stabilito che quella è la radice di tutto. Da lì, ha deciso di non piangersi addosso, ma di «trasformare il rifiuto in un’opportunità» (queste le sue parole): dimagrire per piacersi di più, per diventare più sicuro di sé, e dunque, quando gli capiterà di innamorarsi di nuovo, per essere più capace di sedurre.
Di questo aneddoto potete pensare quello che volete, potete vederci alcuni dei problemi del nostro tempo, l’ossessione per l’aspetto, il tema dell’autostima, della percezione del sé. Ma non sono queste le ragioni per cui mi interessa oggi. Quello che mi interessa è che mi ha fatto ripensare alla natura dei nostri bisogni, e cioè a una questione senza tempo. Il bisogno è il materiale primario sottostante alla motivazione: quello che ci spinge e ci motiva davvero (a fare una dieta, ma è solo un esempio) è sempre un bisogno profondo.
La teoria di McClelland
Esistono varie teorie su quali sono i fattori che motivano le persone a fare le cose, e naturalmente molte di queste teorie sono utilizzate in ambito aziendale per orientare la gestione delle risorse umane, ma sono interessanti a livello umano più generale. Una teoria semplice e bella è il modello sviluppato da David McClelland (uno psicologo) negli anni Sessanta.
Secondo questa teoria, gli esseri umani sono motivati da tre diversi tipi di bisogno: il bisogno di riuscire, il bisogno di affiliazione e il bisogno di potere.
Le persone che hanno “bisogno di riuscire” preferiscono avere obiettivi seri, ma realistici. Non amano né l’eccesso di rischio, perché la riuscita si baserebbe troppo sulla fortuna, né l’assenza di rischio, perché gli obiettivi troppo facili non sembrerebbero più veri obiettivi. Queste persone si aspettano di essere premiate per gli sforzi che fanno.
Le persone che hanno “bisogno di affiliazione” vogliono lavorare in gruppo, coltivare le relazioni e sentirsi amate e accettate. Si adattano alla cultura dell’ambiente in cui si trovano e non sfidano troppo le norme sociali. Preferiscono la collaborazione alla competizione.
Infine, le persone che hanno “bisogno di potere” sono portate a ragionare in modo aspramente competitivo (io vinco se tu perdi), si impegnano a fondo per vincere, per primeggiare, e sono molto disciplinate.
Un problema complesso
Nessuno dei tre tipi è demonizzato dalle teorie aziendali, anche perché l’obiettivo è capire la natura di ognuno per motivare le persone a lavorare bene in base ai loro bisogni prevalenti.
Un’osservazione che farei è che lo spirito imprenditoriale non sembra avere a che fare col bisogno di potere, ma col bisogno di riuscire (a realizzare la propria visione). Mentre lo spirito manageriale ha a che fare col potere in senso stretto. In un’azienda, un talento imprenditoriale potrebbe essere soffocato dalla prevalenza della mentalità di potere.
Tornando al mio amico, vedo in lui una grande confusione sentimentale, e forse il dolore del rifiuto subìto è più grande di quanto la scelta di fare una dieta lasci intendere.
Difficile dire quale sia il suo bisogno prevalente: il bisogno di riuscire a conquistare una donna desiderata, quando capiterà, il bisogno di affiliazione, cioè di sentirsi accettato e amato, o il bisogno di potere, che sempre si affianca al desiderio di sentirsi più belli. Le sofferenze amorose, del resto, sono un problema gestionale complesso.
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