L’economista Valeria Termini ha pubblicato per Laterza Energia – La grande trasformazione, ne anticipiamo l'introduzione.


Per la terza volta nella storia una rivoluzione energetica cambia il mondo. Incide radicalmente sulla traiettoria della crescita, modifica l’organizzazione dell’industria e la vita quotidiana degli abitanti del pianeta, altera gli equilibri geopolitici: apre così una nuova fase nel capitalismo del XXI secolo.

La prima grande trasformazione energetica risale al carbone, che avviò la rivoluzione industriale in Inghilterra; poi fu la volta del petrolio grazie al quale si annullarono le distanze geografiche con la rivoluzione nei trasporti, mentre i prodotti della nuova industria petrolchimica entravano nelle case e nell’industria, introducendo la plastica, fertilizzanti agricoli, nuovi medicinali e persino nuovi alimenti.

Dopo il carbone

Ogni volta che il nucleo centrale dei paesi del sistema capitalistico ha dovuto affrontare una vulnerabilità dalle fonti energetiche ritenuta troppo destabilizzante, si è avuta una trasformazione inarrestabile, più o meno governata dalle potenze egemoni del periodo.

L’era del carbone si esaurì all’inizio del Novecento con l’innovazione tecnologica che permise di superare la conflittualità e gli scioperi dei minatori e dei portuali; nel nuovo millennio si è avviata la fine dell’era del petrolio con l’inasprirsi della forza negoziale dei paesi produttori.

Oggi sono le nuove fonti rinnovabili, inesauribili e disponibili localmente – sole, vento, maree, geotermia, biomasse – a cambiare il quadro: insieme alle innovazioni nel dominio digitale e all’uso di nuovi materiali generano una discontinuità con il passato.

Promettono un mondo migliore, più democratico e pulito: prospettano un freno al riscaldamento del pianeta, intossicato dai combustibili fossili dopo la rivoluzione industriale e oggi dallo sviluppo industriale dei paesi emergenti; disegnano scenari più democratici, grazie alla produzione autonoma di elettricità “pulita” che rende partecipi e responsabili i cittadini dei paesi avanzati, produttori diretti dell’elettricità che consumano con pannelli solari e pale eoliche; fanno intravvedere nuovi servizi grazie alla tecnologia digitale, che consente di costruire reti elettriche intelligenti e di fornire piattaforme pubbliche in “eco-città”, a beneficio dei cittadini e dell’ambiente.

E soprattutto lasciano intravvedere la possibilità di accesso all’energia elettrica alle popolazioni di metà del pianeta che ancora oggi ne sono prive. In Africa, ma anche in molte regioni dell’Asia e dell’America Latina, l’accesso all’elettricità è reso possibile attraverso piccoli impianti di generazione elettrica attivati e gestiti dalle comunità locali con l’utilizzo di fonti naturali inesauribili, offrendo così le premesse indispensabili per uno sviluppo locale autonomo.

Le nuove fonti prefigurano un cambiamento profondo negli equilibri geopolitici, dopo il secolo del petrolio e i disastri provocati alle popolazioni locali per il controllo delle risorse da un occidente dipendente dal petrolio per la crescita, spesso colluso e altre volte in conflitto con gli autocrati degli stati produttori di petrolio.

La trasformazione energetica entra nella grande competizione del XXI secolo tra Stati Uniti e Cina per conservare gli uni e conquistare l’altra una posizione di egemonia negli equilibri globali.

Perché avanza la Cina

La tesi avanzata nel mio libro Energia (Laterza) è che la trasformazione energetica rafforza la Cina, che ha acquisito una posizione preminente nell’intera filiera delle fonti rinnovabili, dal controllo delle risorse naturali – le cosiddette “terre rare” – alla frontiera tecnologica per la produzione delle componenti industriali di energia solare e eolica.

Ma le “terre rare” portano un’ombra seria sulle promesse della trasformazione energetica che non è affatto priva di contraddizioni e forze contrastanti e non ha certo le caratteristiche di un processo positivo lineare.

Dalla grande trasformazione derivano luci e ombre, non solo le promesse di un mondo migliore.

Le dinamiche che si attivano investono tutti i campi dell’economia, della politica, dell’ambiente, della scienza, dell’immaginario collettivo, di comunità che iniziano a percepire l’urgenza del cambiamento e sono impreparate a governarlo.

È vero, il riscaldamento del pianeta trarrà grande giovamento dalle nuove “fonti pulite” per la riduzione delle emissioni di biossido di carbonio (Co2) nell’atmosfera; ma l’uso su larga scala di minerali pesanti – cobalto, litio, nichel – necessari per la conservazione dell’energia, per le batterie del trasporto elettrico e degli strumenti digitali nella nuova filiera introduce nuovi rischi, in primo luogo ambientali, anche per lo smaltimento dei materiali.

In secondo luogo rischia di ricostituire le condizioni di oligopolio globale conosciute col petrolio, con altri protagonisti e risorse naturali diverse. Ne hanno il controllo la Cina e pochi paesi africani.

Un altro rischio è che l’energia attivi un ritorno in miniera per l’estrazione dei minerali pesanti necessari; che si crei cioè una sorta di “ciclo minerario” riportando i lavoratori alle condizioni insopportabili, che conosciamo oggi nelle fotografie di Salgado e nelle descrizioni crude di Emile Zola, vissute dai minatori inglesi del XIX secolo.

L’allarme arriva dalle recenti indagini delle Nazioni unite e dalle ingiunzioni imposte a grandi aziende come Tesla e Apple, coinvolte nel drammatico sfruttamento in miniera del lavoro non protetto di bambini locali.

Le fragilità dell’Europa

La grande trasformazione energetica è inarrestabile, ma il suo percorso è accidentato. Le forze contrastanti sono potenti.

L’Europa butta il cuore oltre l’ostacolo, sostenendo il nuovo modello fondato sul gas, il meno inquinante degli idrocarburi, e sulle nuove fonti rinnovabili.

Ancora una volta tuttavia l’Unione europea deve fare i conti con le difficoltà di una governance incompiuta, che enfatizza le differenze tra i paesi membri, complica l’attuazione di politiche industriali condivise e rende difficile l’assunzione di un ruolo centrale nei cambiamenti in corso.

È una responsabilità storica che l’Unione europea è chiamata ad assumere nel quadro geopolitico che si va delineando, a partire dalla centralità del Mediterraneo, nuovo crocevia dei trasporti di gas e snodo delle Vie della Seta.

Ma la pandemia ha impresso una svolta, un cambio di passo agli indirizzi europei verso una crescita sostenibile.

L’European Green Deal aveva coagulato il sostegno di forze politiche dei paesi membri lontane tra loro intorno a un programma di decarbonizzazione e crescita comune (dicembre 2019). Intorno a esso si sono costruiti i piani per affrontare l’emergenza sanitaria ed economica del Covid-19, stanziando ingenti fondi per i quali sono prevalsi un indirizzo solidaristico e una visione di lungo periodo.

Nell’emergenza, l’Europa torna ad essere un laboratorio politico, ha riattivato dinamiche intorno ai valori sui quali è stata costruita, fondandoli su una nuova concezione dell’economia. La realizzazione dipenderà dal concreto agire dei paesi membri, tra i quali l’Italia può e deve svolgere un ruolo, poiché in quella direzione sono i suoi punti forti e le nicchie di eccellenza.

Le forze che contrastano il cambiamento sono state rappresentate da Donald Trump e dalle sue politiche a sostegno del carbone e dei combustibili fossili, che non hanno avuto successo nelle strategie interne del paese, ma provocano danni seri per l’incertezza politica ed economica che mettono in rete.

Nonostante la resistenza delle forze contrastanti i tempi della trasformazione energetica potranno essere molto più rapidi di quanto atteso, come insegna la storia e l’impatto globale delle precedenti rivoluzioni energetiche.

Chi non studia la storia è destinato a ripeterne gli errori, ammonisce lo storico Graham Allison.

Numerosi indizi permettono di cogliere l’irreversibilità dei processi, si vedono nella filiera del gas e nel consumarsi del binomio dollaro e petrolio.

Dopo il petrolio

Tra le incertezze del percorso avviato sono le turbolenze che i paesi produttori di petrolio incontreranno con la riduzione della rendita del petrolio. Gli esiti politici ed economici entrano in un quadro estremamente complesso, che coinvolge le radici culturali, religiose e la storia dei singoli stati, in particolare nella regione del Golfo.

I tempi potranno essere rapidi, 20 o 30 anni al massimo, poiché si accompagnano alla rapidità della trasformazione economica della Cina, nuovo protagonista della scena economica e energetica mondiale.

Valeria Termini è autrice del libro Energia – La grande trasformazione, edito da Laterza

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