La vera, principale, grande crisi politica è che c’è una maggioranza assoluta di astensionismo politico, che non è astensionismo in attesa di nuovi orientamenti, ma in distacco totale. Con la prossima campagna elettorale europea, si delinea un parlamento dove ci sarà scollamento con le posizioni dei governi, con maggioranze transitorie, scomponibile e ricomponibile. In Italia la situazione è la più grave perché nessun partito in questi trent’anni ha costruito una prospettiva di futuro in un sistema di cessione della sovranità nazionale a quella europea. Nessun partito ha formato classe dirigente per questa prospettiva politica per il semplice fatto di averla ignorata. La discussione rischia per questo di essere minimale, sulla possibilità di formare una maggioranza all’insegna del trasformismo generale. Tutti, per poter governare, devono essere diversi anche da ciò volevano o che potrebbero essere.
Per un felice richiamo della storia, il 10 di giugno 2024, giorno in cui si chiuderanno le urne per il parlamento europeo, sarà a cento anni dall’omicidio Matteotti, il 10 giugno 1924. È uscito un bellissimo libricino dello storico Massimo L. Salvadori in cui si affronta il centenario della morte del leader socialista, e dunque il tema di come la sinistra ha voluto abbandonare e mettere in ombra, sin dalla caduta del fascismo, la predominante indicazione politica e il suo riformismo rivoluzionario, come lo definisce lo stesso Salvadori, insomma la «radice matteottina».
La sinistra deve riaprire questi conti con la sua storia. Non per nostalgia del tempo fuggito, ma per riallacciare tradizione, mancata revisione e compiti nuovi contro un fascismo che è diverso da quello di allora: per intrecci di potere, perché sta diventando destra reazionaria e violenta, ma soprattutto perché cova non nella contrapposizione della violenza del biennio nero contro biennio rosso, ma della violenza che viene dal disfacimento della convinzione che la democrazia è necessaria alle forze subalterne per il riscatto politico e sociale.
Tutta la discussione che si consuma a sinistra, quella sulle alleanze e sugli schieramenti, non è ricerca di revisione politica per il collegamento tra tradizione e futuro da costruire, e per l’accelerazione del tempo perso, ma semplicemente fuga dalla realtà di fronte a un’impotenza. Quello che una parte della sinistra, quella massimalista e comunista, sbagliando, disse di Matteotti: che era «pellegrino del nulla» e aveva «il coraggio della viltà», cioè non aveva voluto affrontare la trasformazione della guerra mondiale in guerra rivoluzionaria; dimenticando che Matteotti si era battuto perché non ci fosse la lacerazione comunista del 1921, convinto che solo con l’unità delle frazioni comuniste, riformiste e della grande area del movimento operaio, fosse possibile tenere in piedi una forza che impedisse la degenerazione reazionaria e costruisse una pluralità democratica capace di trasformare la società.
Oggi la sinistra è capace di ritrovare la triplice radice matteottina?, l’eroica intransigenza di Giacomo Matteotti, l’internazionalismo della Brigata Matteotti in Spagna e la resistenza antifascista, antinazista, antimonarchica delle Brigate Matteotti nella lotta di Liberazione italiana? Per ora si perde dietro ai rigagnoli malmostosi di “primarie sì primarie no”, alla consultazione di residui del suo disfacimento. Cioè di chi – stavolta sì – non ha il coraggio di affrontare la sua decadenza; ed è vile di fronte alla propria partecipazione al festino antidemocratico dell’ultimo trentennio. Con buona pace di Fausto Bertinotti da una parte e di Stefano Folli dall’altra, non è vero che la sinistra non c’è più: è in rabbioso silenzio. Non sappiamo come e quando esploderà. Chi sarà capace di trasformare questa forza di rabbia in una forza di calma democratica e rivoluzionaria?
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