- In Italia esistono due tipi di persone: quelli che pagano le tasse e quelli che no. Ma non era di questo tipo di persone che voglio parlare.
- Io mi riferisco ad altre due tipologie di persone in cui si divide il paese: gli autoctoni e i fuorisede.
- I primi sono coloro che hanno avuto la fortuna di nascere in luoghi economicamente fiorenti d’Italia, Bologna, Milano, o il Vaticano. Gli altri sono coloro che hanno avuto la fortuna di nascere in luoghi d’Italia decisamente molto belli
In Italia esistono due tipi di persone: quelli che pagano le tasse e quelli che no. Ma non era di questo tipo di persone che voglio parlare. Io mi riferisco ad altre due tipologie di persone in cui si divide il paese: gli autoctoni e i fuorisede.
I primi sono coloro che hanno avuto la fortuna di nascere in luoghi economicamente fiorenti d’Italia, Bologna, Milano, o il Vaticano.
Gli altri sono coloro che hanno avuto la fortuna di nascere in luoghi d’Italia decisamente molto belli, spesso dotati del trittico magico “mare, sole e aria buona”, ma più desolati dell’economia interna del Congo.
Quest’ultima categoria di brava gente ha dovuto, ad un certo punto della vita, per scelta o necessità, decidere di emigrare, come le rondini, le anatre marzaiole, o Craxi durante i processi.
Sì, molti rimarranno sconvolti, soprattutto chi vota Salvini, ma non tutti gli immigrati hanno la pelle scura. Eccetto i calabresi.
E’ così che migliaia di giovani, ogni anno, lasciano i comodi letti di casa per ritrovarsi in un monolocale condiviso con altre quindici persone, al modico costo di un rene al mese.
La vita di queste migranti è già piena di enormi disagi: patiscono il freddo nordico neanche fossero in Siberia, vivono di stenti finché non arriva il “pacco da giù”, anche detto “pacco diabetico”, e trascorrono l’esistenza nella costante attesa di un solo ed unico momento: tornare a casa.
Il rientro, temporaneo, nella calorosa e calorica terra natia, li ricompensa di tutti i sacrifici fatti per studiare e lavorare lontani da famiglia, amici e lasagne della domenica.
I geni del male del trasporto
Eppure questo momento di gioia, così fondamentale per centinaia di persone in tutta Italia, è ormai da anni osteggiato da una forza oscura, malvagia e pericolosa: le aziende di trasporto.
Le aziende che gestiscono i trasporti via terra, via mare, via aerea, e anche il teletrasporto, si sono rivelate più temibili della cattivissima “industria di caffè” che uccise l’uomo ragno nel 1992, secondo gli 883 (come ci racconta l’omonima canzone).
Questi geni del male e del profitto, infatti, aspettano lunghi mesi, acquattati nei meandri dell’internet, con le loro tariffe low cost per collegare Milano con Catania, Reggio Calabria con Roma, Canicattì con Bologna, a prezzi umani e ragionevoli, degni di un paese dove la gente possa liberamente spostarsi da regione a regione.
Loro aspettano. Giorni, settimane, mesi. E poi sotto le feste, quando la mandria di disperati fuori sede si accinge ad acquistare gli agognati biglietti per tornare a casa a mangiare il casatiello, ecco che lì, i predatori di giovani terroni, colpiscono senza pietà.
Di colpo, un biglietto che fino al giorno prima costava 50 euro, costa quanto due mesi di affitto (di un trilocale ammobiliato in centro).
Senza alcuna logica gli spostamenti in treno arrivano a costare quanto quelli in aereo e quelli in aereo costano quanto comprare un’isola nelle Galapagos.
A questo punto ai malcapitati non rimanere che valutare l’opzione C, ovvero “car”: andare in macchina. E sarebbe fattibile, se non consideriamo che l’Italia sarà pure il paese più bello del mondo ma probabilmente è anche più lungo, e quindi per arrivare dalla Lombardia alla Sicilia in macchina ci metti più tempo che ad arrivare in Brasile a nuoto.
Per non parlare di quel piccolo, trascurabile, problema insorto circa un mese fa, quando Putin ha deciso di giocare a Risiko, e da allora è più economico comprare un uovo di struzzo ricoperto di diamanti che fare il pieno di benzina.
Alla fine quello che succede è che molti valorosi combattenti mollano il colpo e si rassegnano a passare le feste lontani dalle proprie famiglie, e nessuno dirà mai loro che, a volte, queste famiglie ne sono ben contente.
Molti altri invece cedono al turpe ricatto, fanno piccoli prestiti, ipotecano il nuovo computer, rivendono le collanine del battesimo, e alla fine riescono a racimolare i soldi per tornare a casa, spendendo complessivamente il budget che sarebbe bastato per farsi 10 giorni alle Maldive.
Dopo sei mesi i giornali titoleranno che l’economia finalmente si sta riprendendo, che i trasporti dichiarano un incremento di fatturato, che la gente è tornata a viaggiare per l’Italia perché, si sa, il nostro paese è imbattibile, e nessuno rivelerà mai che la fragile stabilità economica nazionale si basa sullo sfruttamento del più umano dei desideri: quello di vedere mamma e papà.
Allora mi appello a tutti i fuorisede, di qualunque provenienza ed età: credo sia giunto il momento di lottare e fare qualcosa di concreto per cambiare questa vergognosa situazione: la prossima Pasqua, al posto di “tornare a casa”, facciamo una settimana in Spagna, in Portogallo, oppure a Dubai.
Qualunque viaggio sarà sicuramente più breve, sicuramente più confortevole, e decisamente meno caro. Magari, alla fine, ci rimaniamo pure. Tanto siamo già emigrati, che differenza fa?
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