- Erdogan ha fatto terra bruciata attorno al suo paese ma ora sta pagandone il prezzo
- Le alleanze mutevoli nel Mediterraneo e Medio Oriente costringeranno La Turchia a uscire dal’isolamento
- L’Italia ha una finestra di opportunità per intavolare il dialogo politico sui dossier più delicati
Come sta la Turchia? Dopo aver battibeccato con quasi tutti, da qualche mese Recep Tayyp Erdogan alterna momenti di calma piatta in cui tace o cerca di rimediare all’isolamento in cui si è chiuso, come al G20 di questi giorni con l’incontro con Mario Draghi, ad altri di forte iniziativa espansiva, come nel caso del recente viaggio in Africa sub-sahariana.
La Turchia si rende conto che senza alleati la politica estera diviene molto difficile e quasi ingestibile. E’ necessario dunque moltiplicare le iniziativa e dare più densità politica a certe relazioni. In verità tutto può cambiare da un momento all’altro nell’attuale contesto geopolitico molto variabile.
Anche un fedele alleato come l’Azerbaijan, si sta raffreddando per non rischiare uno scontro armato con l’Iran frontaliero. In Libia le cose vanno abbastanza male sul terreno: le milizie libiche non smettono di scontrarsi mentre i mercenari filo-turchi lamentano paghe troppo basse.
Nel Mediterraneo orientale Ankara ha smesso di far uscire navi attrezzate alla ricerca di gas e petrolio: non possiede sufficiente tecnologia per avere successo mentre i controlli congiunti tra marine militari europee sconsigliano ormai aperti gesti di sfida.
Eppure allo steso tempo fornendo droni armati all’Ucraina, Erdogan sceglie di sostenere la visione occidentale di quella crisi rischiando di far infuriare Mosca.
Tale contraddizione è solo apparente: di questi tempi i “giri di valzer” sono all’ordine del giorno: ogni stato fa quel che può per difendere i propri interessi nazionali. Ne risulta una cacofonia semi -incomprensibile.
Per esempio da circa un anno Ankara cerca un riavvicinamento con il Cairo ma le relazioni con l’Egitto non decollano malgrado tutti gli sforzi anche perché i due paesi non hanno i medesimi interessi nei rapporti con l’Etiopia: la grande diga sul Nilo rappresenta una sfida per gli egiziani mentre la guerra in Tigray è vista come un’opportunità per i turchi che vendono i loro droni ed altro…
Un altro aspetto riguarda i fratelli musulmani, una rete su cui Erdogan contava ma che ultimamente non danno ad Ankara grandi soddisfazioni. Quelli libici sono presi nelle loro risse interne; i tunisini hanno fallito il loro accesso al potere malgrado il gradualismo; quegli egiziani non riescono a risorgere.
Infine, Hamas palestinese è contesa tra Hezbollah e sauditi ed è meno interessata a rimanere nel reseau turco.
Eppure il leader turco aveva sacrificato anni di buone relazioni con Israele per loro. Osservando gli “accordi di Abramo” moltiplicarsi, oggi ad Ankara si pensa che forse è stato un errore…
A Idlib in Siria la situazione è critica e lo stesso presidente è dovuto volare da Putin per rinsaldare l’alleanza cooperativa-competitiva con la Russia. Ma l’esercito siriano di Assad preme e non tiene conto delle relazioni tra Mosca e Ankara.
Inoltre, i gruppi islamisti e jihadisti dell’area protetta dai turchi si stanno lacerando fra loro. Infine in Afghanistan i talebani non hanno risposto positivamente né all’offerta turca di sostituire gli occidentali né di mettere in sicurezza l’aeroporto.
Terra bruciata
E’ davvero valsa la pena di essersi fatta tanta terra bruciata attorno con la Ue e la Nato? E’ la domanda che ci si fa ad Ankara nei circoli delle élite politico militari. La recente protesta con dimissioni di molti alti ufficiali denunciano un malessere nell’esercito che non diminuisce, anche se molte frizioni dipendono ancora dalla repressione dopo il tentato golpe del 2016.
Sullo scenario politico l’Akp ha perso negli anni vari pezzi e per mantenersi è sempre più costretta a contare sull’alleanza con l’estrema destra, quella dei lupi grigi. Così la laicità secolare cacciata dalla porta rientra dalla finestra mediante l’alleato radicale Mhp, il partito ultranazionalista interessato più allo sciovinismo che alla religione.
Tale posizione sta raccogliendo molti favori nella società ma non per il partito presidenziale, segno che la propaganda anti-occidentale di questi anni non va più ad ingrossare le file dell’Akp.
Ora che la sinistra di opposizione ha ufficialmente aperto al dialogo con i curdi, Erdogan avrà un’altra grana dopo aver sacrificato anche quel dossier sull’altare della politica ottomanista.
Se la Turchia realizza che non è facile vivere senza amici in un mondo globalizzato in cui le alleanze cambiano quasi ogni giorno, significa che è giunto il momento per l’Italia.
Il nostro governo dovrebbe aprire seri canali di dialogo politico con Ankara sui dossier più delicati. Tale mossa potrebbe essere auspicabile e benvenuta ma occorre sbrigarsi perché la finestra di opportunità si chiuderà presto.
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