- Da quando nacque il Pd, nel 2007, è passata una era geologica. Elly Schlein è la prima leader nativa dei democratici, senza scorie del passato sulle spalle.
- Le spetta il compito di portare un elettorato di borghesia illuminata, ormai stabilmente ancorato al partito attraverso la sua promozione dei diritti civili, all’incontro con quello popolare, perso negli ultimi decenni, con una brusca accelerazione nel periodo renziano.
- Le componenti sottoprivilegiate non sono andate a destra, si sono in gran parte rifugiate nell’astensione.
Il fuoco di fila scatenato da ogni parte contro Elly Schlein prova che la scelta è stata giusta. La nuova segretaria del Pd inquieta e preoccupa. Al di là di ogni valutazione sul suo documento congressuale, il messaggio è nel medium.
Una persona giovane e volitiva, grintosa e postmoderna. Mutatis mutandis, Schlein impatta sull’opinione pubblica con la stessa forza dirompente del Renzi di dieci anni fa. E dimostra che il Pd è un partito con un personale politico diversificato, ricco sia di amministratori capaci e competenti, non a caso spesso riconfermati, che di giovani militanti pronti a diventare la classe dirigente di questo decennio.
Pur con il rispetto che si deve a Stefano Bonaccini per la sua bella lezione di stile e correttezza, congratulandosi subito e offrendo collaborazione, al contrario di oscuri personaggi improvvisamente saliti alla ribalta grazie all’annuncio del loro abbandono, la sua candidatura era gravata da un eccesso di continuità.
Invece, con Schlein, il Pd cambia pagina. Imprime una svolta ad una politica troppo spesso e da troppo tempo ingabbiata nella logica della governabilità e della responsabilità.
Il Partito democratico è stato messo in croce per aver governato a lungo nell’ultimo decennio, nonostante fosse stato tirato per la giacchetta dall’universo mondo ad ingoiare alleati indigesti per il bene del paese.
Ha rappresentato il perno sicuro del sistema contenendo gli sfasciacarrozze delle nostre finanze (Berlusconi) e i populisti d’assalto (Salvini). Infine si immolato sull’agenda Draghi.
Da oggi il Pd non è più imbrigliato da questo soffocante, inabilitante, dover essere. Può esprimere tutta la carica trasformativa insita in un partito progressista, parte integrante del socialismo europeo.
Al pallido moderatismo del Terzo Polo, declinato in riformismo nella neolingua orwelliana che circola, Il Pd a trazione Schlein contrappone la radicalità di una cultura politica finalmente libera dalle vecchie tradizioni novecentesche dei fondatori.
Da quando nacque il Pd, nel 2007, è passata una era geologica. Elly Schlein è la prima leader nativa dei democratici, senza scorie del passato sulle spalle.
Le spetta il compito di portare un elettorato di borghesia illuminata, ormai stabilmente ancorato al partito attraverso la sua promozione dei diritti civili, all’incontro con quello popolare, perso negli ultimi decenni, con una brusca accelerazione nel periodo renziano.
Le componenti sottoprivilegiate non sono andate a destra, si sono in gran parte rifugiate nell’astensione.
Le sorti del Pd passano dalla sua capacità di ridar loro voce per portarle nell’arena politica. Una sfida degna di un grande partito della sinistra europea.
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