- Le grandi banche europee sono negazioniste della crisi del clima. Un conto sono le dichiarazioni pubbliche e gli impegni per la sostenibilità, ma quando si tratta di scelte di business il settore del credito dimostra di considerare la crisi climatica una questione trascurabile.
- Il 60 per cento delle banche non ha un sistema interno di misurazione dei rischi climatici e soltanto il 20 per cento li prende in considerazione quando concede prestiti.
- La Bce stima conseguenze nel breve termine (tre anni) 70 miliardi di euro di danni come effetto degli eventi climatici negativi, tipo inondazioni e ondate di calore.
Le grandi banche europee sono le prime negazioniste della crisi del clima. Un conto sono le dichiarazioni pubbliche e gli impegni per la sostenibilità, ma quando si tratta di scelte di business il settore del credito dimostra di considerare la crisi climatica una questione trascurabile.
La Banca centrale europea, che da tempo ha deciso di considerare il clima tra i fattori di rischio sistemico per il sistema finanziario, ha completato i suoi “stress test” climatici su 104 banche europee: riscontra qualche progresso rispetto al 2020, ma riscontra anche che il 60 per cento delle banche non ha un sistema interno di misurazione dei rischi climatici e soltanto il 20 per cento li prende in considerazione quando concede prestiti.
La siccità di queste settimane e i tanti eventi estremi di questi anni dimostrano che le conseguenze della degenerazione climatica possono avere conseguenze molto tangibili. Anche per le banche.
Sulla base dei modelli di simulazione del rischio delle 41 banche che li adottano, la Bce stima conseguenze negative nel breve termine (tre anni) per 70 miliardi di euro come effetto degli eventi climatici negativi, tipo inondazioni e ondate di calore.
La cifra è rilevante, ma la stima al ribasso: considera infatti soltanto una parte degli istituti di credito del campione (e possiamo supporre che quelli che hanno modelli di rischio siano anche quelli più attrezzati per affrontare gli eventi avversi) e soltanto gli effetti diretti.
Non incorpora, cioè, le inevitabili conseguenze economiche negative che una inondazione o una fase di siccità ha sull’economia, con tutto quello che comporta in termini di aumento di probabilità di insolvenza, di ritardi nel pagamento delle rate dei mutui e così via.
Viva i fossili
Le banche sono poi esposte al rischio climatico anche per un’altra via, cioè attraverso l’incertezza che riguarda debitori attivi in settori inquinanti che, quindi, saranno oggetto di regolazioni progressivamente più restrittive e, si spera, di cali di domanda.
La parte di ricavi da prestiti che le 104 banche europee analizzate dalla Bce ottengono da settori inquinanti è pari al 60 per cento di media di tutti i ricavi di quel tipo ottenuti dall’economia reale.
Il 21 per cento dipende dalle aziende più inquinanti, cioè quelle che emettono più di 1000 tonnellate di anidride carbonica per ogni milione di fatturato (petrolio, gas, chimica, ecc.), «questo conferma il potenziale impatto significativo del rischio di transizione sui ricavi delle banche, in particolare per quelle istituzioni che sono molto esposte a questi settori», scrive la Bce.
Questo è un doppio problema, secondo gli ispettori di Francoforte. Primo: il settore creditizio sta continuando a sostenere le aziende che generano il problema e i rischi climatici che poi impattano sulle banche stesse, con l’aumento della probabilità di danni di origine metereologica. Secondo: il destino dei soldi prestati dalle banche dipende dalla solidità dei piani di transizione ecologica dei debitori, sui quali però il creditore non ha praticamente alcun controllo.
Un terzo delle banche sondate cita il Covid come giustificazione dei ritardi in materia: sviluppare modelli di stress-test climatici non è più stata una priorità in questi ultimi due anni.
Vince il breve termine
Questi rischi, scrive la Bce, possono ridursi di molto se si procede con una transizione ecologica ordinata, invece che lasciar degenerare le cose senza far niente. Nello scenario peggiore, quello in cui le politiche restano costanti e il riscaldamento procede, la Bce ipotizza un calo del Pil dell’8 per cento: disastri superiori a quelli causati dal Covid e senza possibilità di rapida ripresa.
Ma gli interessi di breve termine delle banche sembrano prevalere, e questo spiega perché – con l’opinione pubblica distratta dalla guerra in Ucraina – i progetti di transizione ecologica siano stati smantellati. L’episodio più clamoroso nei giorni scorsi al parlamento europeo, dove è passata la “tassonomia” che classifica come “rinnovabili” anche progetti legati al gas e al nucleare.
Come ha scritto il New York Times, «l’invasione russa ha messo i paesi europei di fronte a una scelta urgente: ottenere gas da paesi diversi dalla Russia o rilanciare su energie rinnovabili come sole e vento».
Il voto del parlamento europeo di mercoledì certifica che abbiamo scelto le energie fossili. E il rapporto della Bce spiega che il sistema bancario è perfettamente allineato.
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