Aldo Moro indicò la strada per una soluzione della crisi che fosse non dispotica. Oggi, nei dati elettorali, c’è l’indicazione di un cambio di rotta rispetto alla destra
In attesa che si posino le polveri sulle coalizioni della Basilicata, cerchiamo di capire cosa è avvenuto nelle regionali abruzzesi prima che gli avvenimenti vengano cancellati dalle cronache quotidiane. C’è stato un cambio di poco conto nei rapporti fra schieramenti e forti movimenti nella maggioranza governativa. Nelle opposizioni invece vi sono stati segnali di vitalità nuove.
Le elezioni non sono in sé un segnale di salute democratica: possono essere celebrate sia in stati autoritari sia in stati democratici. Sono però il segnale dell’esistenza o no di politiche intorno alle quali le forze chiedono il consenso. Allo stato, gli elettori sono divisibili in tre grandi aree. Un’area che non partecipa al voto. Fra loro c’è di tutto: gli indignati e gli indifferenti, i catastrofisti e i provvidenzialisti, gli autoritari e i democratici, i delusi della democrazia.
Lambisce il 50 per cento degli elettori, ma può essere scossa da una suggestione di innovazione, non con la ricostruzione di modelli antichi ma nella costruzione di modelli all’altezza del cambiamento. Vi è poi la grande area del nomadismo politico-elettorale, di quelli che si trasferiscono da una parte all’altra, da un’elezione all’altra, per ragioni di contingenza. C’è una terza area che si riconduce alle tradizionali culture politiche protagoniste della costruzione dello stato repubblicano, che pure nell’ultimo trentennio si sono rassegnate alla decadenza della democrazia.
La risposta democratica
L’Italia ha avuto crisi a cicli trentennali: nella prima metà degli anni 70, i mutamenti internazionali e dell’assetto economico-sociale del paese, hanno posto il problema di come andare avanti: se per via autoritaria o per via di rinnovamento democratico. Fu Aldo Moro che, con linguaggio ombroso ma che copriva profonde riflessioni, parlò di «convergenze parallele» per indicare la necessità di allargamento della parte popolare dello stato, per una risposta non autoritaria alla crisi.
Oggi si pone un problema che richiama la crisi degli anni 70. L’incertezza è un elemento di forza per chi detiene il potere. Non a caso Meloni chiede coesione di schieramento. Ma oggi semmai si pone un problema di coesione nelle convergenze delle forze capaci di costruire un sentire comune che è l’allargamento della base democratica, non solo nazionale, ma europea.
Oggi le convergenze parallele devono essere fra forze che si impegnano a costruire lo stato federale europeo. È un allargamento che può creare quel cambio di rotta che faccia dell’Europa un soggetto autonomo, capace però, con le forze democratiche nel mondo, di trovare soluzioni globali democratiche e non autoritarie. Oggi il mondo si trova di fronte questo dilemma ovunque: autoritarismo o allargamento del confronto democratico. Ecco perché la risposta non sono i vecchi modelli ma la costruzione di una prospettiva nuova.
Per farlo, c’è bisogno di un’arma forte, l’indipendenza della stampa. Dieci, cento, mille Domani: il problema non è tappare la bocca all’informazione ma far nascere redazioni libere, perché il tentativo autoritario è far tacere la conoscenza.
Le culture tradizionali del centrosinistra in questo voto hanno dimostrato di essere vive e attive. E significativi spostamenti vi sono stati fra l’area degli indifferenti e l’area di chi vuole riprendere la lotta per la costruzione della base popolare democratica federale dell’Europa.
Il successo di quest’impostazione si è visto prima in Sardegna e poi in forma anche più esplicita in Abruzzo. Il dimezzamento del distacco fra il candidato del centrodestra e quello dello schieramento democratico è un segnale.
In Europa le grandi tradizioni non sono morte. Spira un vento di destra, ma come negli anni 70 le convergenze parallele salvarono l’Italia per altri trent’anni di democrazia, così oggi le convergenze parallele possono salvare la democrazia europea. E Giorgia Meloni resterà delusa dal turismo politico con cui Ursula von der Leyen vuole portare al Ppe la ciliegina della destra italiana. La prospettiva democratica dunque c’è. Accelerando il rinnovamento delle grandi culture italiane, che trovino il coraggio del depotenziamento delle sovranità nazionali e all’accrescimento della sovranità federale. È la strada segnata dal voto positivo del centrosinistra d’Abruzzo.
La Russia e l’Europa
Infine oggi si conclude la farsa elettorale in Russia. Vladimir Putin uscirà più forte nella gestione autoritaria del potere e guarderà all’espansione verso l’Europa come necessità del suo neozarismo. Donald Trump si preparerà a una campagna elettorale con livida e rumorosa passione antidemocratica per rinnegare la tradizione del solidarismo americano verso l’Europa. Benjamin Netanyahu, appoggiato dalla destra europea e in particolare italiana, continuerà a esasperare i rapporti nell’area mediorientale.
Il papa, tra una invocazione alla pace universale e un cupo pessimismo, immagina un futuro dimissionario da vescovo emerito di Roma che apre il confessionale in Santa Maria Maggiore. Questi eventi in atto, o prevedibili, possono essere contrastati e rovesciati dal voto maggioritario per lo stato federale europeo.
© Riproduzione riservata