- Un importante aiuto a comprendere la situazione viene dal documento “Salario minimo in Italia: elementi per una valutazione” del 13 luglio, elaborato dai Consulenti del lavoro. In teoria il documento è contrario, ma smonta le principali critiche.
- Si argomenta che i Ccnl riconoscono già retribuzioni orarie sopra i 9 euro. Ma il riferimento considerato è il trattamento economico complessivo, e non, come chiaramente richiesto dalla proposta di legge, il trattamento economico minimo.
- La seconda, e più preoccupante, obiezione è che l’introduzione di un salario minimo potrebbe indurre le imprese a uscire dai Ccnl rappresentativi e ritenersi in regola con il solo rispetto di questo salario minimo. La Caporetto della contrattazione! Questa possibilità è però preclusa dalle disposizioni.
Il disegno di legge delle opposizioni sul salario minimo si articola su due punti principali.
- Il diritto del lavoratore a vedersi riconosciuto un trattamento economico complessivo (comprensivo cioè di minimi tabellari, mensilità aggiuntive, scatti di anzianità, indennità contrattuali fisse e continuative) non inferiore a quello stabilito dal contratto collettivo nazionale (Ccnl) comparativamente più rappresentativo in vigore nel settore di appartenenza.
- La previsione di un livello, pari a 9 euro lordi, al di sotto del quale il trattamento economico minimo orario, (minimo tabellare, senza mensilità aggiuntive e tfr) non può andare, neppure nei Ccnl.
La previsione di cui al punto a dà validità generale, erga omnes, ai Ccnl comparativamente più rappresentativi.
La previsione di cui al punto b garantisce la dignità della retribuzione anche in quei settori in cui la contrattazione non arriva o è debole, a causa della frammentazione del tessuto produttivo.
Le critiche alla proposta ignorano sistematicamente il punto a) e criticano il punto b.
Si argomenta che i Ccnl riconoscono già retribuzioni orarie sopra i 9 euro. Ma il riferimento considerato, ad es. nello studio di Tiraboschi e Lombardo, è il trattamento economico complessivo, e non, come chiaramente richiesto dalla proposta di legge, il trattamento economico minimo. Se si guarda l’indicatore corretto si vede che in più della metà dei contratti esaminati dallo studio il limite dei 9 euro per il minimo tabellare non è affatto rispettato.
L’obiezione più preoccupante
La seconda, e più preoccupante, obiezione è che l’introduzione di un salario minimo potrebbe indurre le imprese a uscire dai Ccnl rappresentativi e ritenersi in regola con il solo rispetto di questo salario minimo. La Caporetto della contrattazione!
Questa possibilità è però preclusa dalle disposizioni di cui al punto a secondo cui, anche se uscisse dal Ccnl rappresentativo, l’impresa dovrebbe comunque applicare il trattamento economico complessivo da esso previsto.
Un importante aiuto a comprendere questa affermazione viene dal documento “Salario minimo in Italia: elementi per una valutazione” del 13 luglio, elaborato dai Consulenti del lavoro.
Il documento, è bene chiarirlo, è fermamente contrario alla fissazione di un salario minimo per legge (e cioè al punto b) della proposta).
Ritiene invece preferibile «la previsione secondo cui la retribuzione, nonché il trattamento normativo contrattuale dovuto, non possa essere complessivamente inferiore a quello stabilito dai contratti collettivi nazionali comparativamente più rappresentativi in vigore per il settore o il comparto merceologico in cui il datore di lavoro opera e svolge effettivamente la sua attività. Laddove non esistesse un contratto collettivo comparativamente più rappresentativo di settore dovrebbe farsi riferimento ai parametri retributivi e normativi contenuti nel contratto collettivo comparativamente più rappresentativo ritenuto più affine. Ne deriverebbe che ogni contratto non comparativamente più rappresentativo potrà esistere solamente nella misura in cui i trattamenti previsti, retributivi e normativi, rispettino i parametri sopra indicati e già individuati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative».
Una proposta che non solo dà, di fatto, forte sostegno a quella contenuta al punto a) di cui sopra, ma la rafforza, suggerendo l’estensione dell’applicazione erga omnes dei Ccnl rappresentativi non solo al trattamento economico ma anche a quello normativo.
È sempre il documento dei Consulenti a spiegare come una norma siffatta impedirebbe la fuga dai Ccnl rappresentativi.
«Andrebbe quindi a crearsi la figura del contratto collettivo comparativamente più rappresentativo per ogni singolo settore o comparto merceologico, che non escluderebbe l’esistenza di ulteriori contratti i quali, tuttavia, al fine di poter essere applicati dovrebbero rispettare i parametri retributivi e normativi minimi in esso contenuti, come peraltro già previsto in materia di appalti pubblici (cfr. art. 11, commi 1 e 3, D.Lgs. n. 36/2023)».
Una risposta tecnicamente ineccepibile a chi paventa la fuga dai Ccnl come esito della proposta delle opposizioni che prevede non solo l’introduzione di un salario minimo come salvaguardia di ultima istanza, a fronte di una contrattazione che in alcuni settori è debole, ma anche, con la stessa cogenza, che al lavoratore si applichi, proprio come nella proposta dei Consulenti, il trattamento retributivo complessivo previsto dal Ccnl comparativamente più rappresentativo.
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