- Nella notte del 5 gennaio è arrivato il decreto-legge che protrae fino al 15 gennaio misure già previste per il periodo natalizio. Continua lo slalom tra giornate colorate in modo diverso, in attesa di nuove ordinanze del ministro della Salute.
- Il metodo delle fasce di rischio viene momentaneamente sospeso. «Si sta rivelando efficace», aveva dichiarato Conte il 3 dicembre. Ma adesso, almeno fino al prossimo provvedimento, quel sistema viene meno. I colori li decide il governo.
- Si persiste a intrecciare fonti diverse – Dpcm, decreti legge, ordinanze del ministro della Salute – tra le quali si fa sempre più fatica a orientarsi. E si continua a decidere all’ultimo momento sulla vita delle persone.
Nella notte del 5 gennaio è arrivato il decreto-legge che protrae fino al 15 gennaio misure già previste per il periodo natalizio. Continua lo slalom tra giornate colorate in modo diverso, in attesa di nuove ordinanze del ministro della Salute, e comunque fino al prossimo Dpcm. Al riguardo, i dubbi sono molti.
Il sistema delle zone a colori
Il metodo delle fasce di rischio viene momentaneamente sospeso fino al 15 gennaio, in attesa della eventuale revisione della classificazione regionale sulla base di nuovi criteri, con conseguente diversa applicazione delle misure previste per le zone “arancioni” e “rosse”. Si rammenta che il sistema “a zone” è stato previsto dal Dpcm del 3 novembre scorso. I dati relativi alla situazione epidemiologica sono trasmessi da ogni regione a una cabina di regia, che li elabora mediante un algoritmo e ne desume un livello di rischio. Da ciò discende l’inserimento della regione, con ordinanza del ministero della Salute, in una certa zona e l’automatica applicazione di restrizioni previste dal Dpcm. In sintesi, la classificazione delle regioni varia al mutare della situazione, facendo al contempo scattare limitazioni di diritti in maniera commisurata al crescere dei rischi.
«È un sistema che si sta rivelando efficace» - aveva dichiarato il presidente del Consiglio durante la conferenza stampa per il Dpcm del 3 dicembre – che «permette di adottare misure adeguate e proporzionali all’effettivo livello di rischio dei territori, evitando quindi un lockdown generalizzato che sarebbe “molto penalizzante per tutto il paese sia in termini economici che sociali”», come si legge sul sito di palazzo Chigi. Conte l’ha ribadito il 18 dicembre, presentando l’ulteriore decreto natalizio: «Il metodo a zone ci ha permesso di evitare il lockdown totale che avrebbe danneggiato il nostro tessuto sociale ed economico».
Ma adesso, almeno fino al prossimo provvedimento, quel sistema viene meno. I colori li decide il governo.
Le restrizioni prese a occhio
Con il decreto natalizio, nonostante quasi tutte le regioni fossero zona gialla, si erano imposte restrizioni da zona “arancione” o “rossa”, inducendo a chiedersi quale fosse il senso dello spostamento dell’intero paese in una fascia di rischio inferiore poco prima di Natale, se poi si prescrivevano comunque restrizioni della fascia più alta. E adesso il nuovo decreto proroga misure precedenti per mera analogia con quelle del periodo delle feste. Ma le feste sono finite, non c’è più l’alibi delle riunioni conviviali.
Si giustifica la nuova decisione dicendo che la situazione peggiora, quindi, tali misure vanno estese. Non si intende valutare la gravità epidemiologica, ma sottolineare un’incongruenza. Il metodo “a zone”, adottato per la “seconda ondata”, prevede peggioramenti e rimedi. Se necessario – come spiegato – una regione può essere spostata anche tempestivamente a una fascia di rischio più elevata, con misure più stringenti per arginare il pericolo di contagi. Quel metodo è stato pensato per circostanze in divenire. Dunque, non basta limitarsi a dire che esso viene derogato perché le cose vanno peggio, e in attesa di provvedimenti ulteriori. Si può anche decidere di cambiare sistema, ma ne va spiegato il motivo in modo trasparente e razionale. Non si possono fare certe giravolte con la disinvoltura di chi conta sul fatto che gli italiani accettino qualunque decisione senza voler capire.
Per provare a spiegare il senso del nuovo decreto, definito come provvedimento-ponte, serve partire dalla disposizione che rivede alcuni criteri per definire gli scenari di rischio, ai quali si collegano misure per le zone “arancioni” e “rosse”. Taluni indicatori in base ai quali si effettua la classificazione delle regioni – secondo il meccanismo sopra esposto – vengono sostanziati e combinati diversamente. Così le regioni, a seguito di nuova elaborazione, potranno essere spostate dal ministro della Salute in fasce di rischio più elevato, e sarà lo stesso ministro ad applicare per esse le misure individuate dal nuovo decreto. Fintanto che ciò non accadrà, saranno vigenti misure natalizie prorogate in modo uniforme per tutto il territorio nazionale. Poi, a metà gennaio, arriverà il prossimo Dpcm.
Perché si è deciso di rivedere certi indicatori, cambiando le carte in tavola? Era forse sbagliata la ponderazione fatta precedentemente? E la classificazione in zone valida finora, con relative misure restrittive, non rispecchiava la situazione di gravità effettiva delle singole regioni? Soprattutto, che fine ha fatto la “oggettività” del sistema vantata da Conte? Lo si era detto in tempi non sospetti: non conoscendosi in maniera precisa i motivi per cui erano stati scelti alcuni indicatori e non altri, il peso di ciascuno nell’apprezzamento finale, la valutazione di quelli non numerici e la combinazione complessiva, la celebrata oggettività era di mera facciata. Basta modificare parametri di valutazione o il modo in cui li si incrocia e mutano la stima del pericolo, la classificazione regionale e le limitazioni dei diritti. Il sistema continuerà a essere vantato come “scientifico”, ma il cambiamento che può farsi a monte rende palese la discrezionalità del tutto.
Continua la confusione
Si persiste a intrecciare fonti diverse – Dpcm, decreti legge, ordinanze del ministro della Salute – tra le quali si fa sempre più fatica a orientarsi. E si continua a decidere all’ultimo momento sulla vita delle persone, creando difficoltà a molti: da chi aveva organizzato la propria attività economica, facendo affidamento sulla conclusione delle restrizioni il 6 gennaio, alle famiglie che contavano sulla riapertura delle scuole il 7 gennaio e due giorni prima si trovano una scelta diversa, nonostante le rassicurazioni, e non sapendo nemmeno cos’accadrà in prosieguo. A proposito di scuola, avevamo preannunciato che riaprirle il 7 sarebbe stato arduo, essendo difficile in un mese circa - con il Natale di mezzo - creare le condizioni di sicurezza che non erano state predisposte in precedenza.
Al momento, il decreto sancisce la data dell’11 gennaio, ma le regioni si stanno orientando diversamente, come sempre. Ancora una volta, si conferma quanto già rilevato su queste pagine da settimane: lo scaricabarile elevato a sistema strutturale per scelta normativa del governo. L’incertezza è pari almeno allo sconforto. Si continua a procedere a tentoni, come se quest’anno di pandemia non fosse passato: questa è l’unica cosa certa.
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