Il viaggio a Mar-a-Lago lancia messaggi problematici agli alleati e ai partner europei, forse Meloni ha un problema di eccesso di fiducia
Inebriata dai complimenti, a cominciare da quelli dello sbadato settimanale The Economist e dello smodato magnate diventato presidente (Trump), estasiata dalle e nelle photo Opportunità (a suo tempo, lo so, saranno raccolte in un apposito portfolio politico-elettorale), forse anche frastornata dai molti cambi di fuso, la presidente del Consiglio sta incappando in alcuni problemi, forse non proprio marginali.
Il primo riguarda la coesione della coalizione che ha guidato al successo elettorale nel 2022 e che intende condurre fino al record di unico governo italiano durato un’intera legislatura. Vero è che né Salvini né Tajani potrebbero andare altrove e sono costretti a soffrire e abbozzare, ma decidere senza nemmeno dare loro le informazioni di base può diventare troppo almeno per alcuni dei parlamentari leghisti e forzisti e portare, poi, alle criticabili guerriglie parlamentari.
Da quel che abbiamo visto, qualche assaggio di guerriglia si è già avuto in occasione dell’approvazione dell’Autonomia differenziata e nel corso della discussione del disegno di legge costituzionale sull’elezione popolare del presidente del Consiglio. Pur avendola definita la madre di tutte le riforme, Giorgia Meloni non sembra attualmente in grado di dedicare parte del suo prezioso tempo a controbattere le critiche e a portarla avanti.
Non escluso che si sia orientata a farne argomento per chiudere la legislatura e impedire il referendum costituzionale, che non può tenersi nell’anno delle elezioni politiche. Il secondo problema di enorme complessità riguarda la strategia del sovranismo intesa come recupero e esercizio della sovranità nazionale.
La correttezza formale dei rapporti con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen viene spesso incrinata dai troppi ammiccamenti con l’illiberale Viktor Orbán, ma la fase che si è oramai aperta riguarda atteggiamenti e comportamenti da mostrare e da tenere con Trump, sicuramente nemico di una Ue più coesa e più forte.
Il significato più ampio dell’improvviso, forse non improvvisato, viaggio lampo a Mar-a-Lago non è stato solo «premere aggressivamente» (come è stato riportato dal New York Times) per convincerlo a non essere di ostacolo alla trattativa per ottenere la liberazione di Cecilia Sala. Quel viaggio ha inteso anche mandare il segnale che la presidente del Consiglio italiano vuole ed è in grado di decidere e di fare una sua politica di rapporti politici e personali con Trump, a prescindere dall’Unione.
Di fatto, sta indebolendo in partenza Bruxelles e irritando i capi degli altri Stati-membri i quali, per il momento, fanno buon viso a pessimo gioco.
Non è chiaro quanto l’incontro sia servito a discutere della possibilità che sia proprio Musk a fornire tutta la strumentazione necessaria a strutturare le reti dei servizi di sicurezza nazionale.
Tre punti meritano approfondimenti. Il primo riguarda i limiti dei poteri del capo del governo italiano che in un settore di tale importanza per la sicurezza della nazione dovrebbe rapportarsi strettamente con il parlamento. Il secondo è che, quando si è parte di una entità sovranazionale come l’Ue, il bilateralismo già di per sé modalità controversa e discutibile, lo è ancor più quando si svolge su un terreno che interessa tutti gli Stati-membri.
Terzo e ultimo punto, non deve essere ritenuta una critica di lesa maestà la richiesta di sapere quanto la premier sia tecnicamente attrezzata sul tema della sicurezza nazionale e in grado, quindi, di tenere a bada eventuali mire aggiuntive in termini di potere e di affari da parte di Elon Musk. Lecito è pensare e temere che Giorgia Meloni si sia allargata troppo, abbia mostrato un eccesso di fiducia nelle sue vorticose scorribande. C’è un tempo per agire e c’è un tempo per riflettere, anche per correggere.
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