- È chiamata “eco-ansia” la sensazione spaventosa che le basi ecologiche dell’esistenza siano in procinto di crollare. Un vissuto che si va diffondendo soprattutto tra i più giovani.
- La paura può indurre a sposare tesi negazioniste, capaci di attenuare l’angoscia del futuro, o può essere mobilitante, portare le persone nelle piazze e nelle strade, farsi politica.
- La generazione dell’eco-ansia si affaccia oggi sulla possibilità concreta dell’assenza di futuro, ma porta anche con sé la promessa di una nuova coscienza e passione del limite, che metta la politica di fronte alle sue responsabilità.
Ghiacciai che collassano, boschi che vanno in fiamme, siccità, precipitazioni anomale e violente. Fenomeni che da decenni segnalano gli effetti devastanti del cambiamento climatico di origine antropica si fanno ora sempre più prossimi e quotidiani, divenendo parte di un sentimento diffuso di catastrofe imminente.
Nella letteratura scientifica è chiamata “eco-ansia” la sensazione spaventosa che le basi ecologiche dell’esistenza siano in procinto di crollare.
Un vissuto individuale, che può avere effetti sulla salute mentale, e che si va diffondendo in porzioni crescenti della popolazione, soprattutto tra i più giovani.
Dalla prima indagine su larga scala pubblicata su The Lancet, che ha coinvolto dieci paesi e diecimila ragazze e ragazzi d’età tra i 16 e i 25, emerge un 59 per cento di rispondenti molto o estremamente preoccupati, e un 84 per cento ansioso di fronte al cambiamento climatico.
Tristezza, ansia, rabbia, impotenza e senso di colpa sono le emozioni più diffuse. E l’angoscia è acuita dalla percezione di inerzia e inadeguatezza dei governi del mondo.
Che i più giovani avvertano con più forza e dolore il pericolo per il futuro del pianeta è del tutto comprensibile, trattandosi della componente demografica che vede messa a rischio la propria sopravvivenza.
Il terrore della fine dei tempi agita l’umanità da tempi immemorabili, ma la generazione che oggi si affaccia alla vita adulta è forse la prima ad avvertire un’angoscia di tipo non cosmologico, bensì fondata sulla comprensione del tutto razionale dei processi in corso nell’Antropocene, sulla conoscenza scientifica degli effetti dell’intervento umano che possono condurre la nostra specie (e molte altre) all’estinzione.
Tra i primi pensatori che nel Novecento hanno colto i rischi catastrofici del delirio prometeico dell’essere umano, Günther Anders notava come la paura per il futuro del pianeta fosse gravemente inibita dai meccanismi di diniego e rimozione della realtà.
L’autore de L’uomo è antiquato auspicava perciò un’umanità che reimparasse ad avere paura, non solo «di ciò che può capitarci», ma anche «per il mondo».
Oggi, una simile paura appare non più un’aspirazione, ma un fatto. E tuttavia, funziona come una passione ambigua.
Può indurre a sposare tesi negazioniste, capaci di attenuare l’angoscia del futuro, o può essere mobilitante, portare le persone nelle piazze e nelle strade, farsi politica.
È in questa versione mobilitante che la paura ha mosso, negli ultimi anni, le manifestazioni di Fridays for future, Extinction rebellion e altre ancora, unite dal desiderio di verità e giustizia di fronte alla crisi climatica.
La generazione dell’eco-ansia si affaccia oggi sulla possibilità concreta dell’assenza di futuro, ma porta anche con sé la promessa di una nuova coscienza e passione del limite, che metta la politica di fronte alle sue responsabilità.
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