Il governo Draghi ha sicuramente cambiato lo stile e i toni dell’azione di governo, non sempre i fatti. Prendiamo il caso della legge di Bilancio, cioè il provvedimento più importante della politica economica, quest’anno ancora più significativo perché in assenza di vincoli stringenti al debito consente interventi rilevanti come una riduzione della pressione fiscale di 12 miliardi. Dove è finita?

Approvata dal Consiglio dei ministri nelle sue linee (molto) generali, non è ancora arrivata in parlamento.

Siamo al 7 novembre, ormai è già tardi, il voto finale deve arrivare entro il 30 dicembre, il percorso parlamentare comincerà dal Senato.

Questo significa che la Camera, il ramo più corposo del parlamento, non riuscirà a esaminarla e dovrà votarla blindata da un voto di fiducia.

I 630 deputati, insomma, non avranno possibilità di dire nulla di rilevante prima di approvare il testo a scatola chiusa, non è neppure detto che riusciranno a leggerlo prima del voto. Eppure, sappiamo pochissimo dei dettagli, a cominciare da chi beneficerà di quei 12 miliardi di tagli delle tasse.

Sarà la delega fiscale a stabilirlo, dunque i senatori voteranno un po’ al buio ma i deputati saranno soltanto dei pigia-tasti.

Italy's Prime Minister Mario Draghi arrives for an EU summit at the European Council building in Brussels, Tuesday, May 25, 2021. European Union leaders gather for a second day of meetings to discuss the coronavirus pandemic and to assess new measures on how to meet targets to become climate-neutral by mid-century. (Olivier Hoslet, Pool via AP)

Non è certo la prima volta che si cono ritardi di questo genere. Nel 2020 la legge di Bilancio è arrivata in parlamento addirittura il 18 novembre, ma c’erano molte attenuanti: un governo che si era insediato in modo rocambolesco dopo l’estate, il Conte 2, e le strutture dei ministeri occupate a gestire decreti ristori o sostegni che ogni mese mobilitavano l’equivalente delle risorse di una legge di Bilancio annuale.

Anche nel 2019 i gialloverdi Lega-Cinque stelle hanno portato la legge di Bilancio in parlamento tardi, col risultato che pure loro hanno chiesto la fiducia alla Camera su un testo blindato. Ma avevano comunque fatto meglio del governo Draghi, visto che il testo lo avevano portato in Senato il 2 novembre.

Quali giustificazioni ci sono per lo sforamento attuale? All’apparenza nessuna, il governo ha avuto tutto il tempo per impostare sia il quadro macroeconomico che i provvedimenti.

Se ci fosse un’opposizione, le polemiche non mancherebbero. Ma l’opposizione non c’è, vista la sintonia ostentata tra il premier Draghi e la leader dell’unico grande partito fuori dalla maggioranza, cioè Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia.

Le scansioni imposte dalla Commissione europea alla politica economica prevedono un lungo calendario che comincia ad aprile, con l’indicazione delle previsioni macroeconomiche sull’anno successivo che saranno la base della legge di Bilancio nell’autunno.

La corsa per il voto finale, la fiducia per chiudere ogni dibattito, i maxi-emendamenti che impongono la logica “prendere o lasciare” invece di consentire variazioni di specifiche voci, svuotano quel processo di ogni senso.

Draghi avrebbe potuto dare un segnale di discontinuità. Non lo ha fatto, difficile dire se per scarsa efficienza del processo decisionale o per una scelta tattica, perché una legge di Bilancio da votare a scatola chiusa è più semplice da gestire per l’esecutivo e riduce al minimo le interferenze dei partiti della maggioranza.  

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