- Le grandi democrazie non hanno mai modificato le loro leggi elettorali dal dopoguerra ad oggi. con la sola eccezione della Francia quando passò dalla IV alla V repubblica, nel 1958.
- Sarebbe altrettanto auspicabile che venisse data massima pubblicità ai lavori di questa commissione coinvolgendo, in varie modalità, anche i cittadini.
- In questo modo potrebbe finire finalmente la girandola delle norme elettorali a beneficio o intralcio di qualcuno.
Solo l’Italia tra i paesi di democrazia consolidata ha cambiato il proprio sistema elettorale tante volte e in così breve tempo. Dopo aver mantenuto in vita per quasi cinquant’anni, dal 1946 al 1994, il sistema proporzionale, nel nostro paese si sono alternati tre diversi sistemi elettorali, tutti frutto del genio italico in quanto non hanno tratto ispirazione da quanto adottato in Europa.
Il primo cambiamento è stato preceduto da un movimento di opinione che mise sotto accusa un sistema che alimentava una degenerazione correntizia all’interno dei vari partiti e faceva lievitare le spese per le campagne elettorali dei vari candidati alla ricerca di preferenze, con connesse accuse di finanziamenti illeciti e di corruzione.
L’insoddisfazione per queste pratiche era tale che all’inizio degli anni Novanta un piccolo gruppo di politici non primissimo piano, sostenuti però da un sempre dissacrante Marco Pannella, promosse un referendum tutto sommato marginale: la riduzione del numero delle preferenze da un massimo di quattro ad una sola. Nonostante la settorialità della proposta, questa non solo venne approvata dal 90% dei votanti ma soprattutto più del 50% dei cittadini andò alle urne rendendo così valido il referendum.
L’impatto di questo evento sarebbe stato limitato se non fosse intervenuto Bettino Craxi, figura di primo piano della politica italiana di quegli anni, invitando ad andare al mare invece che a votare. La clamorosa sconfessione del leader socialista, oltre a suonare l’inizio della sua discesa politica , dette spinta ai riformatori.
La successiva iniziativa referendaria investì direttamente il sistema elettorale nel suo complesso smontandolo e riformulandolo fino a farne un simil-maggioritario.
La spinta riformatrice trovò ulteriore alimento da Tangentopoli e dalla connessa disarticolazione del tradizionale sistema partitico. Da allora si sono alternati tre diversi sistemi elettorali. Il primo, varato alla fine del 1993, temperava l’introduzione del maggioritario uninominale con un quarto dei seggi da assegnare con la proporzionale attraverso un complesso sistema di compensazione tra detto “scorporo”: una delizia per gli esperti del settore, un mistero per quasi tutti gli elettori.
La seconda innovazione venne lanciata all’inizio del 2006 per iniziativa del governo Berlusconi, con il mal celato intento di limitare i danni alla sua coalizione visti i pronostici sfavorevoli. Il sistema ritornava ad un voto proporzionale (senza preferenze) ma assegnava un premio di maggioranza alla coalizione/partito che fosse arrivato in testa.
Questo sistema è stato poi sanzionato dalla Corte costituzionale che ha ravvisato nell’assenza di preferenze un vulnus alla volontà degli elettori. Sentenza alquanto opinabile visto che le liste bloccate esistono anche in altri paesi come la Germania.
Ad ogni modo, quella sentenza ha prodotto una nuova normativa , anche qui varata con una certa fretta prima delle elezioni del 2018 : un sistema misto che reintroduce il maggioritario benché affianchi ai collegi uninominali un quarto di collegi plurinominali con un numero ridotto di candidati per ciascuna lista.
Questo sistema è stato anch’esso severamente criticato per le molte incongruenze, come la possibilità di candidarsi sia nei collegi uninominali che plurinominali. Eppure, langue la discussione su un nuovo, giusto ed efficiente sistema elettorale.
Le proposte che si sono affacciate sono state costruite , come nel passato, guardando alle contingenze politiche , allo scopo di favorire o meno una parte politica piuttosto che l’altra.
Viviamo ancora una fase in cui le regole si cambiano a seconda della convenienza, non sulla base di principi, possibilmente condivisi. Emerge qui la stesso atteggiamento espresso da chi – ed è stato un coro potente – ha proposto un rinnovo di due anni del mandato del presidente uscente Sergio Mattarella, una sorta di presidenza a termine come se la prorogatio potesse riguardare anche le istituzioni.
Forse, per una volta, sarebbe una buona idea dar vita ad una commissione parlamentare al solo scopo di elaborare, con il massimo del consenso possibile, una norma chiara e semplice, per i decenni a venire.
Le grandi democrazie non hanno mai modificato le loro leggi elettorali dal dopoguerra ad oggi. con la sola eccezione della Francia quando passò dalla IV alla V repubblica, nel 1958. E sarebbe altrettanto auspicabile che venisse data massima pubblicità ai lavori di questa commissione coinvolgendo, in varie modalità, anche i cittadini. In questo modo potrebbe finire finalmente la girandola delle norme elettorali a beneficio o intralcio di qualcuno.
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