- Una lettera a un piccolo maestro e a tutti gli altri piccoli maestri che ancora tentano di accendere una luce di pensiero nelle menti dei ragazzi
- Il paradosso di un ministro della Cultura che riduce il pensiero di Dante alla misura di questa Italietta
- E un elenco delle ragioni per cui Dante è uno dei più grandi innovatori del pensiero umano, anche politico, civile e morale.
Questa lettera la scrivo quasi in sogno: mi pareva di dovertela, caro maestro. E di doverla anche a tutti gli altri “piccoli maestri” ancora vivi, che sopravvivono a fatica nelle sempre più scalcagnate scuole italiane.
Caro Giuseppe Lo Manto, che per tanti anni hai formato generazioni di studenti da tutta la Sicilia e dal mondo, non solo a scuola, ma durante le Settimane di studi danteschi che hai fondato e diretto a Palermo, fino alla tua morte prematura proprio alla vigilia dell’anno dantesco. Che di queste Settimane hai fatto una scuola di civiltà, ma anche di universalismo cosmopolitico, di civismo e soprattutto di coraggio intellettuale e morale, di veglia critica, ironica, socratica, e di passione per la conoscenza.
Valori che, lo sanno tutti, animano lo zoccolo duro dell’elettorato della patria e della fiamma, che vota mamma (Giorgia) e fieramente vuole prima l’Italia: proprio quest’Italietta qui, che più meschina e ignava, in questo vasto mondo della storia e delle sue tragedie, proprio non si potrebbe.
Una carezza di consolazione
Sì, mi è parso di doverti una carezza di consolazione per il sobbalzo incredulo che devi aver fatto nella tua tomba quando l’attuale ministro della Cultura ha svelato la sua taglia culturale con la sua battuta su Dante fondatore del pensiero conservatore e «padre della destra» (sic) perché «della nazione italiana» (sic sic!). Dante. Quello «che ha il mondo per patria come i pesci hanno il mare», come di se stesso scrive nel De vulgari eloquentia irridendo quel «ripugnante modo di ragionare» che mette il proprio volgare in bocca a Dio e non vede quante città più belle, quante lingue più dolci ci sono di quella della pur amatissima Firenze.
Quel Dante che teorizza la separazione del potere spirituale e di quello politico, e caccia a testa in giù nella «geenna» i papi che della religione fecero strumento di regno, come ancora fanno certi minuscoli presidenti del consiglio in repubblichette come la nostra, o come ha ripreso a fare il feroce autocrate di tutte le Russie.
Dante, il fondatore dell’umanesimo moderno, che in cima al Purgatorio si fa incoronare imperatore e papa di se stesso dall’emblematico poeta dell’umana ragione, Virgilio: perché «libero dritto e sano è il suo arbitrio», più di quanto non accada oggi a certi spaesati ministri. Dante, inventore di un Ulisse inaudito, che non è l’eroe di un ritorno, ma di un viaggio di scoperta e di sfida. E tutte le terre conosce, dalle rive del Mediterraneo fino alle colonne d’Ercole, e oltre quelle «il mondo sanza gente», il mondo che sta oltre il sole del visibile, il mondo ancora ignoto. Dante che «pensiero» chiama quello che trasgredisce i limiti imposti dal buonsenso e dalla tradizione: il pensiero che è libero e non ha padrone.
Eh già, ricorda, ministro? «Fatti non foste a viver come bruti/ ma per seguir virtute e canoscenza». Ma forse è meglio non interrompa i vostri conversari sulle accise e i prezzi e i benzinai, occupati come siete, con questa vostra vista così lunga e questa elevatezza del sentire vostro, all’opera suprema: «qui si fa l’Italia o si muore».
Preferirei la seconda, con queste premesse.
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